La vaccinazione israeliana

La campagna di vaccinazione israeliana è stata una delle più attive e veloci al mondo, a mesi dal suo inizio, Israele vede un calo delle infezioni da Covid e del numero di casi gravi, inoltre ha riaperto il commercio e la cultura per le persone vaccinate, ma rimangono alcune restrizioni sui voli in entrata e in uscita. Per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu la questione è politica, dopo essere stato criticato per la gestione iniziale della crisi sanitaria, ora Netanyahu vuole guadagnare popolarità in vista delle elezioni legislative di marzo.

Secondo un contratto pubblicato parzialmente il 17 gennaio, Israele si è impegnato a fornire al laboratorio statunitense Pfizer dati rapidi sugli effetti del vaccino su larga scala in cambio di una fornitura abbondante di vaccini, il paese ha firmato un contratto anche con Moderna, le cui prime dosi sono state consegnate all’inizio di gennaio. In passato Israele era già stato un terreno di valutazione per altri vaccini, in collaborazione con i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) degli Stati Uniti.

Questa campagna di vaccinazione si poggia su un sistema di copertura sanitaria universale pubblica molto avanzato sul piano digitale e con infrastrutture efficaci, l’organizzazione è strutturata intorno a quattro fondi sanitari: Clalit (il più grande fornitore di cure), Maccabi, Meuhedet e Leumit. Ognuno ha aperto rapidamente centri vaccinali e ha contattato i suoi assistiti per fissare gli appuntamenti.

Speriamo di vedere questi risultati e questa efficacia di vaccinazione anche in Europa ed in Italia, però questa euforia intorno al modello israeliano ha offuscato la vista di molti analisti, pare che ci siamo dimenticati chi è il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Il 7 Febbraio scorso la Corte dell’Aja ha dichiarato ufficialmente di riconoscere la Palestina come Stato e di avere giurisdizione sulla situazione nelle aree occupate da Israele, dando così la possibilità alla procuratrice Fatou Bensouda di avviare un’indagine sui crimini di guerra commessi in questi territori. Prima di procedere con un’indagine, però, la procuratrice si è rivolta ai giudici del Tribunale penale internazionale per avere conferma che il territorio sul quale il tribunale può esercitare la propria giurisdizione comprendesse la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est e la Striscia di Gaza. I giudici hanno risposto affermativamente alla domanda della procuratrice.

Come dimostra Amnesty International, nel rapporto Medio Oriente e Africa del Nord 2019-2020, Israele ha continuato a espandere insediamenti illegali e le relative infrastrutture nella Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme est, legalizzando gli avamposti costruiti senza autorizzazione statale israeliana, anche su terre private palestinesi.

Il 25 marzo 2019, il presidente degli Usa Donald Trump aveva riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan occupate, contravvenendo alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che dichiaravano illegale l’annessione compiuta da Israele.

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A marzo, gruppi armati palestinesi hanno lanciato un razzo dalla Striscia di Gaza verso il centro di Israele, ferendo sette civili, Israele ha reagito colpendo gli obiettivi di Hamas a Gaza.

Le forze israeliane hanno sferrato centinaia di attacchi aerei e proiettili di artiglieria a Gaza, uccidendo 25 persone; i gruppi armati palestinesi hanno lanciato centinaia di missili contro Israele, uccidendo quattro persone.

Tra il 12 e il 16 novembre, dopo che Israele ha ucciso un membro di spicco del gruppo armato della Jihad islamica palestinese in un attacco aereo, le ostilità sono divampate nuovamente. Israele ha lanciato attacchi aerei uccidendo 33 persone, tra cui 15 civili, mentre gruppi armati palestinesi hanno lanciato missili contro Israele, provocando feriti.

I palestinesi nella Striscia di Gaza hanno continuato per settimane con proteste della “Grande marcia del ritorno”, iniziata nel marzo 2018, secondo il Centro palestinese per i diritti umani, al 27 dicembre erano stati uccisi 215 palestinesi, tra cui 47 minori, quattro paramedici e due giornalisti.

Il 28 febbraio, la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni commesse nel contesto delle proteste a Gaza tra marzo e dicembre 2018 ha determinato che le forze israeliane potrebbero aver commesso crimini di guerra, anche sparando deliberatamente contro civili palestinesi.

A luglio, la stampa israeliana ha riferito che le forze armate israeliane avevano deciso di modificare i loro regolamenti sulle armi da fuoco, che avevano permesso ai cecchini di sparare agli arti inferiori dei manifestanti sopra il ginocchio, quindi dopo oltre un anno dal riconoscimento che tali regole provocavano inutilmente morti e ferite devastanti, i cecchini sono stati istruiti, per il futuro, a sparare sotto il ginocchio. Con il blocco illegale aereo, terrestre e marittimo di Israele nella Striscia di Gaza, che ha limitato il movimento di persone e merci dentro e fuori l’area, ha continuato ad avere un impatto devastante sui diritti umani dei due milioni di abitanti di Gaza per il dodicesimo anno consecutivo.

A gennaio, l’Organizzazione mondiale della sanità ha denunciato che il blocco israeliano del carburante a Gaza stava gravemente colpendo ospedali e altri servizi sanitari, tra il 26 agosto e il 1 settembre, a seguito di attacchi missilistici in Israele, le autorità israeliane hanno dimezzato la fornitura di carburante a Gaza, arrivando al risultato di fornire un massimo giornaliero di quattro ore di elettricità.

A giugno, il Centro palestinese per i diritti umani ha segnalato una grave carenza di medicinali per i pazienti con cancro e malattie croniche a Gaza, Israele ha continuato a negare arbitrariamente i permessi medici ai residenti di Gaza per consentire loro di entrare in Israele o in Cisgiordania per le cure.

A gennaio, Israele ha esteso i limiti di pesca al largo della costa di Gaza a 12 miglia nautiche, ancora al di sotto delle 20 miglia nautiche concordate negli accordi di Oslo firmati da Israele e dalla Organizzazione per la liberazione della Palestina negli anni Novanta. In Cisgiordania, almeno 100 posti di blocco e blocchi stradali israeliani hanno continuato a limitare pesantemente il movimento dei palestinesi, ed essere in possesso di una carta di identità palestinese rappresenta un ostacolo all’uso delle strade costruite per i coloni israeliani.

La lista può continuare e comprende violazioni di libertà di parola e associazione, violenze di genere, incarcerazione ad obiettori di coscienza, sgomberi forzati, discriminazioni, torture e maltrattamenti. Oltre questo, nel Novembre 2019, Benjamin Netanyahu, è stato formalmente incriminato per tre atti d’accusa: corruzione, frode e abuso d’ufficio.  Nell’inchiesta cosiddetta “1000” Netanyahu è stato indagato per frode e abuso di ufficio per i doni ricevuti da importanti uomini d’affari, nel caso “2000” il primo ministro era sotto indagine assieme all’uomo d’affari Arnon Mozes.

I due avevano stretto un patto: Mozes è il proprietario del giornale free press “Israel Hayom”, il più diffuso di Israele e Netanyahu in cambio di una copertura favorevole gli aveva offerto modifiche legislative che favorivano la sua azienda. Il caso “4000” è il più complesso: Netanyahu per anni ha mantenuto il Ministero delle Comunicazioni, favorendo l’azienda telefonica Bezeq, i procuratori accusano il premier di essersi fatto corrompere per modificare la legislazione a favore di Bezeq.

D’altronde cosa ci si può aspettare da un uomo che ha governato con Avigdor Lieberman, capo del partito estremista israeliano Yisrael Beytenu, grande sostenitore della pulizia etnica dei cittadini israeliani di etnia araba. Ovviamente anche lui, il 2 agosto 2009, fu incriminato per riciclaggio di denaro, corruzione, frode, subornazione di testimoni e ostacolo della giustizia nel quadro d’una inchiesta, aperta 10 anni prima, sul finanziamento di alcune campagne elettorali. Fu dichiarato innocente nel 2013 e poi reintegrato come ministro degli esteri, nel 2016 come ministro della difesa, fino al novembre del 2018 quando si dimette in segno di protesta alla tregua raggiunta con Hamas, considerando il “cessate il fuoco” come una “resa al terrorismo”.

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