Da artista del trolling a troll-artist: intervista un po’ seriosa con Ermes Maiolica

Sono qua con Ermes Maiolica, il “re delle bufale in Italia”, che non ha bisogno certo di altre presentazioni. Innanzitutto Ermes, come va?

 Tutto bene. (dopo aver precisato di essere un po’ ubriaco, ndr)

Bene, sintetico ed efficace. Allora, tu sei sicuramente un camaleonte. Non ti chiamo bufalaro perchè so che rifiuti totalmente l’etichetta. Diciamo quindi artista del trolling e creatore di fake news virali, poi hai smesso perchè “le bufale no perchè fanno male”, poi sedicente professore universitario. Infine socio della Keller Grigliati, come lavoro principale. Al di là degli scherzi, in tutto questo c’è sempre un filo d’arianna: il trolling e la provocazione. Da poco hai portato queste due caratteristiche ad un livello artistico. Anche se tanti ti definirebbero mentecatto io preferirei definirti un troll-artist. È calzante?

Si e no, sul troll artist sono d’accordo, infatti questa arte è ancora da definire e si avvicina molto al viralismo, corrente artistica ancora in lavorazione. Non mi piace invece essere chiamato bufalaro perchè sono un situazionista, cambio spesso stile e missioni. Tra il 2013 e 2016 ho fatto fake news satiriche, prima facevo l’editore di una rivista pulp in collaborazione con Frigidaire e il male, che tra l’altro è tornata disponibile recentemente. La mia arte principale è il situazionismo: un giorno posso fare casino durante le elezioni, mettere in rete notizie false, creare fanzine cartacee, un altro fondare un sindacato per robot ed infine, adesso, l’artista. Mi piace giocare con la realtà, mettendo in discussione certi canoni. In questo caso parliamo della mia nuova attività, che inaspettatamente funziona. Ah, e non sono un “sedicente professore”, adesso insegno e faccio il tutor in alcuni progetti europei. Scherzo quando dico espressamente di essere un professore universitario. Ma nelle facoltà ci vado davvero.

Situazionismo e viral art, interessante. Sul tuo profilo ho visto delle opere: Fake the system, Dio c’è, Porcodio, Bologna, Bari. Innanzitutto come sei partito? E per seconda cosa, alcune di queste come le ultime due – oltre al valore artistico – fungono anche da classico clickbaiting e diventano quindi una sorta di meta-trollagio. Come reagisci a chi ancora oggi commenta indignato sul tuo profilo? Magari anche minacciandoti di morte?

Visto che conosco il mercato dell’arte e mi sa ridicolo ho voluto “bucare” questo sistema. Prima del covid e tutt’ora un po’ di meno sono sempre presente nei mercatini d’arte. Ho notato che in questi mercatini ci stavano sempre gli stessi quadri invenduti, forse perché brutti e di autore ignoto. Così ad un certo punto ho iniziato a comprarli per realizzare dei collage e renderli ancora più brutti, talmente brutti che alla fine per paradosso diventavano interessanti e di consegue belli e vendibili. Il concetto era dare una nuova vita a quel dipinto che sarebbe finito nel camino. Così è stato, e i quadri-collage sono quelli più venduti e ad un prezzo più alto. Penso che sia rivoluzionario, per quel pittore che fece quel dipinto abbandonato, ritrovarselo modificato e venduto a buon prezzo. Poi è arrivato il momento dei quadri che hanno fatto più discutete e sono diventati virali. Quelli dell offese alle città, forse per qualcuno non saranno bellissimi a livello estetico ma parliamo di arte concettuale, ed il lavoro vero è dietro il quadro, non sulla tela. Dietro questi dipinti c’è tutto il mio background punk, lo stile realizzato tramite le borchie, vernice ed offese. E soprattutto il mio background da troll. Per quanto questa arte doveva essere una presa in giro del mondo dell’arte, da falsa arte é diventata più vera di quella ufficiale. Cioè, se un artista contemporaneo fa un puntino rosso su una tela dicendo che questo “rappresenta la sofferenza del mondo” é ridicolo. Non è vero, queste sono opere create dalla mafia del mondo dell’arte dove si spalleggiano gli artisti e critici che spendono soldi per farsi riconoscere. La vera arte concettuale è questa, questa è arte trollosa, é partecipativa, coinvolge sia gli intellettuali che gli ignoranti, spacca le bolle cognitive, provoca, o la ami o la odi. E soprattutto funziona e si vende subito, visto che il valore dipende anche dal mercato. Nel momento in cui l’arte crea problemi e curiosità allo stesso tempo, è arte autentica. È sempre commerciale, ci mancherebbe, ma arricchisce solo l’artista e l’acquirente, non intermediari o sistemi burocratici.

Questo slideshow richiede JavaScript.

Opere concettuali senz’altro. È come se rielaborassi dei concetti steretipici in chiave ironica facendogli prendano forma materica. Perchè un conto è leggere una frase sui social, altra è vedere una vera e propria opera che riprende il concetto e lo esprime in modo lapidario. Riguardo alla loro commerciabilità so che riesci anche a venderle con grande facilità. Secondo te nel tuo caso specifico quanto pesa il fattore artista rispetto al mero prodotto artistico?

Il personaggio e la fama di Ermes Maiolica è morta nel 2016, questo indirizzo virale è semmai ispirato all’anti campanelismo di Vincenzo Ceramica. Molti quadri li ho venduti su ebay a gente che nemmeno sapeva chi fosse Ermes Maiolica. Il collage su olio su tela funziona perché divertente. Invece questi dipinti punk trolling funzionano perché indignano una città intera e all’acquirente piace possedere l’oggetto dell’indignazione. Tutte le mie opere contro città, usi e costumi, sono state vendute alla persona di quella città. È anche questo il bello, tu fai provocazione su una città e l’acquirente é proprio di quella città, ed è da lì che si distrugge il messaggio provocatorio, l’interesse stesso della persona provocata che decide di dare un prezzo e prendersi l’oggetto che ha odiato, esponendola ai suoi amici dicendo “regà, siete proprio coglioni”. Questa è provocazione e arte concettuale, non il puntino rosso su tela visto solo dall’artista. Nasce da una finta arte per smascherare le fallacia dell’arte contemporanea, diventando essa stessa più concreta e vera di quella ufficiale. Continuerà così e le gallerie insieme ai critici faranno la fila per averla? Assolutamente no, il viralismo bypassa tutto questo. Si dice che quando c’è un affare ci guadagna soltanto uno, nel viralismo non è così, ed è un affare che faranno venditore e acquirente, senza “istituzione”.

Basquiat disse: “Non ascolto ciò che dicono i critici d’arte. Non conosco nessuno che abbia bisogno di un critico per capire cos’è l’arte”. Il tuo discorso probabilmente non è così radicale ma sembra comunque punti a sminuire l’aurea di autorevolezza dell’ambiente artistico “ufficiale”. Secondo te perchè un ambito che dovrebbe essere sinonimo di libertà e rottura invece tende ad essere così standardizzato o perlomeno, diciamo, “controllato”?

Allora, quello che sto facendo io é una cosa nuova e meno anarchica, cioè, io non vado contro il mercato dell’arte, ma uso i suoi stessi strumenti per vendere, contraddicento le regole morali, di chi invece, fa solo mercato. Quello che faccio io non è arte figurativa, è arte concettuale. Non sono un bravo artista nel senso classico del termine. Quello che creo è più marketing che arte, è più artigianato diciamo. È inutile parlare di bellezza quando io non voglio creare bellezza, io voglio raccontare una storia con il prodotto che faccio. E anche questo è molto punk: non è importante come lo dici ma è importante che lo dici. Quello ch vendo non è tanto per i soldi in sè, perchè il guadagno è irrisorio. Per me è importante dire che vendo perchè significa che “funziona”, che c’è qualcuno che vuole l’opera ed è pronto ad acquistarla, perchè ha e rappresenta un valore. 

Ecco, arriviamo ad una domanda che magari non frega a nessuno e forse non ti hanno mai fatto prima in un’intervista. In tutte le tue attività c’è sempre il letimotiv del punk: dal “do it yourself” al rifiuto della forma anzichè del concetto, passando per il tema della provocazione e rottura dello status quo. Immagino che per te, come è stato per me, il punk sia stato una vera e proprio forma mentis, che va al di là della scritta sul banco di scuola a 14 anni “punk saved my life” e delle spille da balia, arrivando invece con gli anni e la maturità a definire in gran parte il tuo sguardo sul mondo e il tuo modus operandi. Ecco, quanto ha influito il punk nella tua vita artistica come di troll? Qual’è stato il più grande insegnamento che ti ha dato?

Come dicevo prima i miei quadri, soprattutto provocatori, riprendono il mio background sia punk che troll. I trolling, ma soprattutto il punk, mi hanno insegnato a cambiare il sistema per il popolo ma non con il popolo. Per quanto io ami l’umanità, per deformazione professionale, sia da accademico che da punk, ho una percezione delle masse che sono molto irrazionali. Voglio bene all’umanità ma non mi fido di essa. Magari sono io il matto e le masse sono razionali, chissà. Però almeno, per sicurezza o per fortuna, non ho nessuno che mi segue.

Beh, sicuramente hai uno sguardo disilluso. E anche questo è punk. Io ti ringrazio tanto per il tempo dedicatomi e ti saluto a nome di tutta la Redazione!

Sull’Autore

Cresciuto a punk-rock, 56kb e saggi sull'anarchismo sulla costa della Sardegna orientale, mi sono laureato a Bologna in Comunicazione con una tesi su web 2.0 e cyber-utopismo. Dal 2015 mi occupo di Digital Strategies nell'ambito di startup innovative. Un'ossessiva e mai sazia curiosità verso il mondo esterno ed i processi mediatici e socio-culturali che lo sottendono son ciò che mi han spinto a creare Mangiatori di Cervello, del quale sono il Direttore e Digital Strategist.

Articoli Collegati