“Cose che bisognerebbe sapere” è il piano sequenza di un pomeriggio di una ragazza con problemi alimentari. Un bagno di sole stesa su di un materassino per aiutare il corpo ad evaporare, carotine stick colorate mangiate solo per metà, l’ossessione della madre per una pianta rovesciata, l’ambiente anonimo di una casa americana con interni minimal e piscina sul retro nascosta ai vicini da un’alta palizzata. C’è un lui-che-non-si-sa-chi-sia ad intervenire all’inizio del racconto, per poi scomparire. E c’è una strana creatura fantastica che appare, muta forma e se ne va, così come era venuta.
A differenza di un piano sequenza, in questo racconto sembra che non succeda nulla.
“Materassino nell’acqua, galleggia” fa parte della raccolta di racconti di Amy M. Homes, edita in italiano per la prima volta da Minimum Fax nel 2002. Il libro contiene undici racconti, lunghi da quattro a trentasette pagine, in cui non succede veramente quasi nulla. Anche quando i personaggi si spostano all’interno della narrazione, lo fanno da un letto matrimoniale ormai consunto a un ospedale, descritto solo come un un luogo differente dove le cose persistono a non succedere, uguali a loro stesse; lo fanno da una spiaggia invasa di ragazzi in un pomeriggio di scherzi adolescenziali a una macchina, protetta, nel fitto dei rami della pineta. Ci si muove poco in questo libro. E anche se un movimento può sembrare avvicinare il protagonista a una risoluzione, non compare mai il luogo simbolico né una pianura liberatoria in cui farlo rotolare per salvarlo. E non vi sono risoluzioni.“Io ti piaccio per quello che sono?”, chiede lei.
“Ti va di mangiare qualcosa?”, risponde lui.
“Serviti pure”.
(A.M. Homes, “Materassino nell’acqua, galleggia”, in “Cose che bisognerebbe sapere”)
Ma per quanto affascinante sia per il lettore questa sensazione, per quanto sia anche forse comodo pensare all’ineluttabilità del destino, questa sensazione non è quella fondamentale. Sono racconti orizzontali, in cui ogni azione, ogni piccolo gesto che ci avvicina alla narrazione, allo stesso momento si dilata, spalmandosi su una superficie di eventi che potrebbero essere qualsiasi evento, e potrebbero i protagonisti essere gli stessi da sempre.
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In queste pagine Homes taglia con una lama freddissima gli angoli burrosi del benessere americano, in cui dietro la facciata luminescente di un promesso sogno di felicità si nascondono le increspature della noncuranza del quotidiano. Le donne di Homes non sono vittime, né relegate ad essere state private di qualcosa. Sono invece donne alle prese con violenza domestica fatta o subita, con un figlio che vuole assomigliare al padre morto in un incidente, ragazze che raccolgono preservativi usati in spiaggia, dottoresse ipocondriache che non riconoscono il dolore del marito, professioniste che dormono assieme ad un aspirante suicida.
“Ha a che fare col trattenere il respiro, trattenere il respiro fino a diventare blu in faccia, trattenere il respiro per minacciare, per sfidare, per dire se non fai quello che voglio smetto di respirare. Ha a che fare col tirarsi indietro, col trattenersi. Ha a che fare con l’essere incastrati. Ha a che fare col panico. Ha a che fare col rendersi conto che quando ci si è dentro fino al collo, qualcosa deve cedere. Ha a che fare con le cose che cadono a pezzi. Ha a che fare con la frattura.”
(Amy M. Homes, “Rimedio”)
Un altro racconto dipinge il dramma dell’Alzheimer. Lo fa in un modo obliquo ed efficace: descrivendo la malattia dell’ex presidente degli Stati Uniti Reagan, il più pubblico dei presidenti, attraverso gli occhi estremamente privati dell’ex first lady. Sono occhi stanchi, per l’immane fatica di tenere a bada uno dei senescenti più importanti al mondo, per la cruda constatazione che, malgrado tutto, dovrà ancora una volta scendere in strada, col cuore in gola, a chiedere ai passanti: “Ha visto nessuno camminare da queste parti? Abbiamo smarrito un uomo anziano, bianco” (Amy M. Homes, “L’ex first lady e l’eroe del football”). Eppure la sua gestualità non tradisce alcun tipo di autocommiserazione, non da come si prende cura del marito, o da come tratta le guardie che avrebbero dovuto controllarlo. La banalità del suo atteggiamento, un’aureola di dignità che la unisce a tutte le donne del mondo, ne fa il simbolo di questa raccolta di racconti.

L’ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e sua moglie Nancy alla Mayo Clinic, mentre guardano delle cartoline inviate dai suoi sostenitori
Homes parla di donne travalicando le differenze di genere, lasciandoci guardare alcune vite, non proprio al limite ma nemmeno così distanti da esso, sofferenti, in pena. Non ci dice mai di volerne parlare in quanto donne, le racconta in quanto vita. Senza predestinazione e senza salvezza, private di speranza – di quella speranza che nasce da una certezza di un passato – condannate a restare così, le donne di Homes sono una fotografia dell’umanità, non della condizione femminile. Della miseria in cui siamo avvolti quando ci spersonalizziamo di ogni definizione – poiché veniamo colti in sezione, quasi come se l’istante presente fosse l’unico vero, l’unico a fare da testimone in un processo in cui il passato e il futuro non ci sono già più.
Sembra quasi che, del riverbero luminoso che entra dalla finestra, Homes decida di raccontare le particelle di polvere nell’aria, non il fascio di luce, e di farlo come una lucertola, aggrappata al muro, immobile, osservatrice parziale, e non con un occhio clinico, analizzatore, che ci gira attorno. Ma, soprattutto in “Materassino nell’acqua, galleggia”, non è nemmeno questa la sensazione che rimane al lettore. Ha qualcosa a che vedere con il paradosso, con l’inspiegabilità, con la magia.
Homes inserisce più di una volta figure fantastiche nei racconti. Sono personaggi che intervengono, tra il selciato e l’amaca, a reinserire nel quotidiano, nel banale, nel vuoto, nel depresso, un incommensurabile desiderio di altro, una sorta di curiosità verso gli oggetti, le persone, le cose. Nel racconto in questione, è un coyote. Anzi, un coyote che si trasforma in una vecchia che si trasforma in un’anatra che si trasforma in un procione dalle zampe palmate. E’ una figura che compare senza alcuna forzatura, come emergesse da una necessità seppellita sotto l’erba sintetica stesa attorno alla piscina. Compare, scambia qualche battuta, mangia un paio di frittelle. E con tanta naturalezza se ne va, senza modificare il pomeriggio della ragazza, senza aggiungere alcunché alla narrazione. Quasi fosse semplicemente lì per farle compagnia. Oppure è il lettore stesso che viene proiettato nel racconto, gettato dentro con una naturalezza che lo rende una parte indispensabile del quadro che viene dipinto. A suggerire che, prima ancora di qualsiasi valutazione, c’è il bisogno di immergersi, nella storia, e di farlo con passo morbido, senza far rumore. Far parte di ciò che viene raccontato mantenendo un moderato silenzio.

“Questa è l’acqua”, D. F. Wallace, Einaudi Stile Libero Big
E non è un caso che “Materassino nell’acqua, galleggia”, il più acquatico di tutti, ricordi uno degli scritti più noti di D. F. Wallace: “Per sempre lassù”, racconto compreso nella raccolta “Brevi interviste con uomini schifosi”. Sarà per la presenza dell’acqua, che da sempre è riuscita a ben rappresentare la fluidità della vita, o che in entrambi l’acqua non è acqua, ma un insieme di emozioni che i personaggi vi proiettano, una sorta di inconscio protetto dalla tensione superficiale, oppure perché la sensazione di ‘non succede nulla eppure succede tutto’ è presente dalla prima all’ultima pagina – questi racconti sono racconti che tengono in sospeso.
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Un po’ come se il fatto che niente stia per succedere sia in sé proprio quel qualcosa che succede. Nel racconto di Wallace sono il rilucere dell’acqua clorata, combinato con la devastante attesa di un salto, un semplice salto. Sono le emozioni che governano i pochi istanti della attesa, è il vortice di emozioni che coinvolge il tredicenne a restituirci un po’ di, forse, speranza. Un, come dire, ulteriore che non viene narrato ma si sa che è: quel ragazzo si tufferà o non si tufferà, ma non ha importanza, perché tutta la bellezza del gesto, la sua magia, sta in ciò che è già avvenuto, dentro di lui, prima di un possibile tuffo. Sospeso lui sul trampolino. Ma, nella discordanza tra la brevità del gesto narrato e l’infinità delle cose che ci sarebbero da dire, restiamo sospesi anche noi.
Questo è anche il mondo di Amy M. Homes, in cui quella inspiegabile magia connaturata allo stesso vivere, che non appare se non per il tempo di un bagliore, genera una sospensione che ci lascia liberi di guardare quelle vite così come sono. Un dagherrotipo senza pregiudizi della contemporaneità, dietro la cui staticità si nasconde un lavorìo continuo di elementi chimici; che ci ricorda quale magia – quale chimica – serva per fissare in un immagine quel movimento inesprimibile che è la vita. E quale magia sia osservarla così com’è.