Il fenomeno “Vertical Farms”: illusione o innovazione?

Il termine vertical farming ha un’origine piuttosto datata: è stato coniato nel 1915 dal geologo americano Gilbert Ellis Baily nell’omonimo libro. L’idea della vertical farming è stata poi rielaborata sia in agricoltura che in architettura. Un sostanziale passo avanti è stato fatto nel 1999 da Dickinson Despommier, professore della Columbia University, che insieme ai suoi studenti ha sviluppato e reso popolare il concetto come lo conosciamo oggi.

 

L’agricoltura verticale è un sistema modulare di coltivazione che si sviluppa in altezza anziché in ampiezza, come nel caso dell’agricoltura tradizionale. Le piantagioni verticali sono un tipo di Controlled Environment Agricolure (CEA), ossia di agricoltura in ambiente controllato. Questo metodo permetterebbe di coltivare verdura e frutta indoor, all’interno di edifici appositamente disegnati e realizzati, riducendo la necessità sia di acqua che di campi da coltivare.

Perché è importante?

Le Nazioni Unite stimano che entro il 2050 la popolazione mondiale crescerà fino a raggiungere i 9.7 miliardi di persone, e gli 11 miliardi nel 2100. Va da sé che la quantità di cibo richiesta per sfamare il pianeta aumenterà proporzionalmente. Già prima della pandemia 149 milioni di persone vivevano in condizioni di carestia, numero che a quasi un anno dall’apparizione del Covid-19 è aumentato drasticamente arrivando a toccare i 270 milioni.

Urge quindi trovare una soluzione per nutrire la crescente popolazione mondiale. In questo contesto, quella che potrebbe essere una buona notizia arriva dalla Startup californiana di vertical farm Plenty Inc. I fondi della compagnia, su cui hanno investito – tra gli atri – Jeff Bezos e l’ex presidente di Google Eric Schmidt, ammontano ad oggi a 541 milioni di dollari, destinati ad aumentare. L’obiettivo di Plenty è quello di “migliorare la vita delle piante, delle persone e del pianeta”. Tra le collaborazioni più prestigiose quella con il gigante di produzione di fragole Driscoll’s, siglata a ottobre del 2020.

Dal sito di Plenty Inc.

Le critiche

Le vertical farms sembrano insomma la soluzione ideale per un futuro dall’aspetto altrimenti tetro. Sono molti tuttavia gli scettici, che le additano come un’illusione o addirittura come controproducenti. Diverse critiche sono state finora mosse agli orti verticali, prima tra tutte la quantità di energia necessaria per far crescere le piante al loro interno. Sviluppando in uno stesso sito tipologie di vegetali diverse, le vertical farms richiedono la replica e il mantenimento di condizioni ambientali molto precise. L’energia solare è riprodotta da lampade a neon, il cui consumo porta a un impatto energetico negativo degli edifici: produrre nutrimento utilizzando meno superficie è indubbiamente un passo avanti, ma conviene davvero se il costo energetico delle strutture ne supera il beneficio?

Il lavoro di Plenty

Plenty Inc. sembra aver risolto anche questo problema: la Startup alimenta le sue piantagioni verticali esclusivamente grazie all’energia rinnovabile, rendendole di fatto a impatto zero per l’ambiente. I vantaggi non finiscono qui: negli edifici di Plenty crescono 400 volte più piante per ettaro rispetto a una piantagione tradizionale e le coltivazioni richiedono il 99% in meno di terra e il 95% in meno di acqua. Non solo: con questo metodo l’agricoltura verrebbe, secondo la compagnia, “liberata dai limiti delle condizioni meteorologiche, della stagionalità, del tempo, della distanza, dei parassiti, dei disastri naturali e del clima”, producendo ortaggi naturali e non OGM. Non è abbastanza? L’acqua utilizzata, seppure in quantità infinitesimale rispetto alle piantagioni a terra, viene riciclata e il vapore acqueo immagazzinato per essere nuovamente usato.

Ma come funzionano? Nelle strutture, tecnologicamente all’avanguardia, file e file di vegetali crescono una affianco all’altra, appese al soffitto. Alcuni robot si occupano di spostarle quando necessario, e i parametri di luce, acqua e temperatura sono regolati da un software di Intelligenza Artificiale. Sembrerebbe che il massimo della tecnologia si sia unito al massimo dell’efficienza nel campo dell’agricoltura a servizio di un futuro in cui la fame diventi un problema minore. La missione di Plenty, secondo il suo CEO Matt Barnard, è quella di “costruire una vertical farm per ogni città con più di un milione di abitanti”.

Rimane il dubbio che la società non sia pronta a un cambiamento così repentino e strutturale, e che il mercato del lavoro non sia preparato a riassorbire il surplus che si creerebbe qualora gran parte dell’agricoltura diventasse verticale. Resta comunque essenziale tenere d’occhio il lavoro di Plenty e delle altre compagnie di vertical farming, che potrebbero stare costruendo il futuro dell’alimentazione umana.

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