
Stelio Mattioni
L’altro giorno, un po’ per curiosità e un po’ per augurarmi in qualche modo un buon 2021 – questo 2020, diciamocelo, è stato un dramma, al di là degli eventi personali –, sono andato a guardare l’oroscopo per l’anno nuovo. Da buon chimico – e scienziato – non credo molto in queste cose, ma al cuore non importa sotto quale forma gli si dona il conforto. Io sono Leone, ascendente Scorpione.
Mi salta agli occhi immediatamente una parola: “aspettative“. Amore, vita, denaro, fortuna sono inclementi per un Leone nell’anno venturo, ma “non si deve fare alcuna aspettativa“. La vita, del resto, sorprende sempre, anche se non ce lo dice un oroscopo.
Ho voluto iniziare, e scrivo in prima persona, con un’introduzione un po’ atipica – di solito risulto essere abbastanza analitico nel coinvolgimento personale –, quasi imprevista, perché questo libro necessita nel raccontarlo di una certa dose di personalità. Attenti bene, non come strafottenza o boria, ma come emozioni, come sensazioni; ed è bene non confondere le une con le altre.Inutile ricordare Stelio Mattioni come un grande scrittore. Inutile ricordare che è un scrittore atipico. Un industriale che, per sua stessa ammissione, scrive per diletto e necessità dopo aver vissuto la sua vita da “impiegato”. Un outsider della letteratura italiana e, forse per questo, la critica – al contrario dell’oroscopo per tutti i Leone – gli è stata clemente, anzi, ammiratrice. Molto spesso viene descritto come un autore del fantastico. Questo non lo credo. L’assurdo non fa parte della nostra vita forse?
Quante volte vi è capitato di pensare: “che assurdità è mai questa!“. Mai? Beh, non lo credo. Tante volte mi sono trovato a rivolgermi domande senza senso. Mi sono trovato spesso a figurarmi nella mente idee balzane. Mi sono trovato ad assistere pressochè impotente a comportamenti – per la mia intima logica, sia chiaro, che non può essere uguale per tutti – assurdi, apparentemente senza significato.
Già, apparentemente…
Quando si recensisce un libro, si tenta ostinatamente di dare un significato, una logica a tutti i più minuti elementi della storia che si legge; personaggi, luoghi, dialoghi, battute, gesti, oggetti. Tutto. Con Mattioni non può essere così, soprattutto in questo romanzo. Forse è questo che “i lor signori critici” intendono con “autore fantastico“? Si sono per caso spaventati della realtà? Per quale motivo uno scrittore dovrebbe mentire? Soprattutto uno che della scrittura non ne ha fatto un lavoro. Troppo forte per essere reale.
Il protagonista, senza nome, è un giovane studentello svogliato, o meglio, distratto, figlio della borghesia triestina. Decide di raccontarci la sua storia, molto tempo dopo che sia avvenuta. Tutto accade quasi per caso: fa visita a sua zia Francesca; e mentre è nel giardino della casa, vede sulla Scala dei Giganti, una figura evanescente vestita come la Madonna. Un vestito bianco, etereo, con in vita una fascia azzurra lo attrae per un inspiegabile motivo. Inizia a cercarla per le vie di Trieste, senza però mai riuscirla a scorgere nuovamente. Si ricorda di uno solo particolare: un anello con una pietra incastonata.
Non sa darsi pace. L’ultimo esame universitario diventa una scusa per rimanere a lungo in quel giardino da cui l’aveva scorta la prima volta. La rivede, questa volta però è diversa nell’aspetto, ma non vi è dubbio che sia lei. Tenta ancora una volta di rincorrerla. Niente. Sfuggente come il vento. Gli incontri successivi presentano sempre questo senso di inevitabile inafferabilità.

Il richiamo di Alma – copertina @Cliquot
Il lettore, come lo sono stato io, si ritrova ad ondeggiare nei sentimenti del narratore-protagonista, in un lento dondolio che intontisce. Proprio come il mare. Quando lo si guarda per troppo tempo, se è calmo e la brezza soffia lenta e pacifica, ci si perde nei suoi riflessi, e si rimane con sé stessi. Ci si accorge anche, che in noi è presente, seppur assente, una seconda figura. Alma. La ragazza vista come la Madonna. Lei ne è la sua rappresentazione, niente di più. Una figura, forse immaginifica forse reale, che noi vediamo, solo noi, nel nostro intimo. Tutti coloro che ci circondano non possono percepirla, non possono assaporarla. Sì, perché ha un sapore dolce, un profumo sublime. E anche se spaventa, è sempre lì con noi e quasi irriconoscibile.
E qui viene la domanda cruciale: chi è veramente Alma?
L’amore? Forse. La religione? Forse. La sessualità? Forse. La passione? Forse. A questa domanda io non so dare una risposta. Posso dare la mia risposta, e forse Mattioni ha dato la sua risposta. Ognuno di noi possiede la sua risposta.
Quello che mi resta da fare è semplicemente provare, con qualche linea di logica, ad illustrare la mia. Ed un passo del romanzo può aiutare:
“La seguii fino in piazza Vico, la vidi svoltare in via Risorta e, quando svoltari anche io, feci appena in tempo a scorgerla mentre spariva in un portone. […] Il portone era contraddistinto da tre numeri: 4, 7, 11. […] Aprii allora la porta di fondo, e mi trovai in un cortile interno, pieno di erbacce, chiuse da due alte case uguali a quella nella quale ero entrato: il 7 e l’11.” – Il richiamo di Alma, Stelio Mattioni

Veduta di Trieste
I numeri hanno sempre un fascino. Qualcosa che non si può spiegare, qualcosa di assurdo. Forse perché vi attribuiamo significati particolari o forse perché spiegano l’assurdo, nella loro semplicità. Undici, sette. Ho guardato cosa volessero significare questi numeri, ma non ve lo voglio svelare. Voglio essere come le erbacce del cortile. Lì, in mezzo alla via della soluzione. Un monito, le erbacce; degli ostacoli, le erbacce; delle tracce, le erbacce.
“Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta.”
– Genesi 2: 2,3
E ancora:
“Oh, le insensate preoccupazioni degli uomini,
quanto sono sbagliati quei ragionamenti
che fanno volare verso il basso!”Commedia, Canto XI, Paradiso – Dante Alighieri
Credete voi quello che volete; pensate voi quello che volete; carpite voi il significato che volete; questo è Mattioni.
Non c’è da aspettarsi nulla, se non noi stessi.
(Mi raccomando, leggete il libro)
Sull’autore:
Stelio Mattioni (1921-1997) si fa conoscere nell’ambiente intellettuale triestino del Dopoguerra grazie al volume di poesie “La città Perduta”, ed in tutta Italia con la raccolta di racconti “Il sosia”. Approda in Adelphi nel 1968 con “Il re ne comanda una”.
Un autore estremamente prolifico, tanto che tutt’oggi si pubblicano sue opere inedite.
Sulla casa editrice
Così si descrivono, ed altre parole sarebbero superflue:
“Manoscritti ritrovati in umide cantine, storie ripescate in polverose riviste, opere mai tradotte riportate alla luce. Cliquot è la casa editrice del recupero dei classici mancati, delle belle opere dimenticate.
Cliquot è la volpe del nostro logo, che esce dalla sua tana e va a esplorare il mondo. Chevalier Cliquot, figura alla quale la casa editrice si sente spiritualmente affine, è stato un mangiatore di spade di inizio Novecento che si esibiva nei circhi in quelli che venivano definiti sideshow, gli spettacoli marginali. E con Cliquot, ciò che finora è rimasto marginale andrà finalmente sotto la luce dei riflettori.”