We are who we are: la fluidità di genere nella prima serie tv di Guadagnino

We are who we are è una miniserie in otto puntate diretta da Luca Guadagnino e andata in onda dal 9 ottobre su HBO e Sky (e disponibile anche su NowTV). È il debutto alla serialità, per Guadagnino, e la sua esperienza pregressa come regista di lungometraggi si percepisce tutta. La serie è molto cinematografica e quindi per questo a tratti lenta — la storia si distende senza fretta nel corso degli episodi come fosse un unico lunghissimo film.
Guadagnino ci fa vedere l’Italia, anche in questo caso, attraverso gli occhi degli statunitensi, come se per capirla e apprezzarla davvero dovesse allontanarsi, vederla con uno sguardo straniero. La vicenda narrata si svolge in Italia, nei pressi di Chioggia, in una base militare statunitense (Guadagnino e la sua troupe hanno utilizzato una vecchia base rimessa a nuovo per le riprese): un piccolo e chiuso territorio americano nel bel mezzo del nordest italiano, che si fa vedere in tutto il suo suggestivo splendore fatto di paesaggi lagunari e marittimi e cieli indimenticabili, e si fa sentire nel dialetto veneto parlato dalla popolazione locale. Ma c’è anche, nell’ultima puntata, una meravigliosa e deserta Bologna, sospesa tra la fine della notte e l’inizio del giorno, così rude e struggente da fare male.

La storia, sceneggiata dagli scrittori Paolo Giordano, Francesca Manieri e lo stesso Guadagnino, narra di Fraser (Jack Dylan Grazer), adolescente inquieto e in lotta con il mondo, bizzarro e dinoccolato, che si trasferisce in questa base italiana con le sue due madri (Chlöe Sevigny, stupefacente nel ruolo del colonnello Wilson, nuovo capo della base, e Alice Braga). Appena arrivato Fraser resta abbagliato da Caitlin (Jordan Kristine Seamón), sua coetanea, e la segue silenzioso ma senza nascondersi, attirato da lei come da una calamita, come se un filo rosso li legasse e si fosse “acceso”, facendosi sentire, non appena i due si incontrano per la prima volta. Entrambi combattono non solo contro l’irruenza e la durezza dell’adolescenza, ma anche con la loro sessualità. In questa serie viene esplorata la fluidità di genere con enorme delicatezza, rispetto, tenerezza, verità.

Jack Dylan Grazer, che nella serie interpreta Fraser

Fraser non sa bene come definirsi: sia i ragazzi che le ragazze, in modi diversi, lo attraggono, e al contempo sviluppa un interesse per un giovane e ambiguo maggiore della base, nonché assistente di sua madre, che lo conquista con i suoi consigli di lettura. Caitlin, invece, sperimenta inizialmente con il suo ragazzo ma non si sente soddisfatta. Ciò che la fa sentire viva è travestirsi da ragazzo e crearsi una nuova identità, quella di Harper. In modo del tutto naturale e per nulla invasivo, Fraser la aiuta a esplorarsi, a definire cosa significa per lei essere un uomo.

Jordan Kristine Seamón (Caitlin) e Jack Dylan Grazer

Caitlin e Fraser sono in effetti anime gemelle, non sono semplicemente amici: tra loro avviene, quasi istantaneamente, un incontro intellettuale ed emotivo profondissimo e nasce un’intimità rarissima da trovare. Il loro rapporto è funzionale alla loro crescita personale e sessuale, stando insieme conoscono se stessi e trovano il coraggio di vestire finalmente i panni di loro stessi. Fraser fa capire a Caitlin che, anche da maschio, «Sei sempre tu», e che essere uomo non è solo una questione di connotati fisici o di tratti distintivi come baffi o barba, e lo stesso vale per il sentirsi donna.

È straordinaria la giovanissima attrice Jordan Kristine Seamón, una semi-esordiente (se volete saperne di più su di lei leggete qui). Il suo sguardo sembra mandare a quel paese tutto e tutti ma è al contempo uno sguardo dolce e bisognoso: Caitlin chiede e si chiede chi è veramente, come può trovare la sua strada, la sua identità. E nel frattempo, con il suo corpo, sperimenta, procede in avanti, osa, e vederla sullo schermo è come vederla ballare.
C’è anche Francesca Scorsese, la figlia del celebre regista: è Britney, l’amica di Caitlin, spudorata e spensierata, a tratti quasi spaccona, ma in realtà fragile e amorevole, anche lei presa dalla ricerca di sé, dalla scoperta dei suoi desideri e sentimenti, piena di curiosità e intensità.

Francesca Scorsese (Britney)

Sullo sfondo le elezioni americane del 2016, la vittoria di Trump e il padre di Caitlin (il rapper Kid Cudi) con il cappello “Make America great again“. In molte scene Guadagnino sceglie di lasciare in sottofondo, alla TV, comizi di Trump o della Clinton, stralci di interviste ai cittadini pro Trump che dopo la vittoria non si vergognano né temono più di manifestare la loro fede politica. Trump, nella serie, è un po’ un grande mostro, terribile e annichilente, che minaccia le libertà sacrosante di cui tutti, compresi i protagonisti Caitlin e Fraser, hanno bisogno.

La rigidità della vita militare si contrappone al modo d’essere leggero, sinuoso, colorato e folle di Fraser, ma anche alla fluidità fatta di sperimentazione che caratterizza Caitlin, ricordandoci che le nostre identità scorrono e mutano incessantemente e vanno fatte nuotare libere, mai costrette a cristallizzarsi.
Guadagnino tocca un argomento delicato ma di importanza basilare e lo fa nel modo giusto, con sensibilità ed empatia. Si spera che la serie serva anche a sensibilizzare e informare il maggior numero di gente possibile in merito alla fluidità di genere.

Una curiosità tecnica: Guadagnino sceglie di utilizzare nella serie la tecnica dei freeze frames, che consente di congelare un frame, un fotogramma particolare. A questa tecnica il regista arriva casualmente: rivedendo il girato, fa bloccare una scena significativa (un dialogo fra Caitlin e l’amica Britney sulle mestruazioni) e si rende conto di come questo espediente permetta di far durare più a lungo un momento cruciale e di trasformazione tipico dell’adolescenza, che altrimenti (in video come nella realtà) sarebbe volato via rapidamente. Decide così di usare la tecnica anche per tanti altri momenti della serie. Per saperne di più segnalo questo articolo.

Sull’Autore

Classe 1987. Sono nata e vivo a Gorizia, ho conseguito la laurea magistrale in Filosofia presso l’Università degli Studi di Trieste nel 2015. Collaboro con le riviste “Charta sporca” (per la quale scrivo recensioni di film e articoli su tematiche filosofiche), “Friuli Sera” (dove analizzo opere di Street Poetry e Street Art nella rubrica “Poesia di strada”) e con “La Chiave di Sophia”. In passato ho scritto per due quotidiani locali, “Il Piccolo” e “Il Messaggero Veneto” di Gorizia. A maggio 2017 la casa editrice Historica ha pubblicato il mio racconto “Imago” nell’antologia “Racconti friulani-giuliani” e di recente è stato pubblicato un mio saggio su “Esercizi filosofici”. Le mie passioni sono la scrittura, la filosofia, il cinema, i libri e l’insegnamento.

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