In questo periodo di emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19, forse abbiamo dimenticato altre importanti emergenze che purtroppo affliggono il nostro Paese. Ovviamente la pandemia ha monopolizzato i problemi per la sua gravità e aggressività, ma vogliamo portare alla luce un’altra piaga sempre più nascosta che, con l’emergenza economica conseguente alle norme per prevenire il contagio da Covid-19, potrebbe solo aggravarsi e diramarsi più velocemente di ogni altro virus: lo sfruttamento dell’immigrazione e il capolarato.
Recenti sono le notizie riguardanti gli arresti e le denunce effettuate a La Spezia nei cantieri degli yacht di lusso dove gli operai bengalesi venivano pagati 4 euro l’ora o a Montalbano Jonico e Scanzano Jonico in provincia di Matera dove nove uomini e una donna reclutavano per i datori di lavoro braccianti agricoli per farli lavorare anche 10-12 ore al giorno, con una paga giornaliera di 27 euro (circa tre euro all’ora), mentre il resto rimaneva ai caporali, senza soluzione di continuità e in assenza delle più basilari norme in materia di sicurezza ed igiene.
Prima di provare ad addentrarci in questo triste mondo, parliamo di numeri e iniziamo a vedere quanti sono gli immigrati in Italia e in Europa. In Italia gli immigrati sono circa 5.306.548, ovvero l’8,8% della popolazione. Un trend per decenni in crescita, ma che da qualche anno è in diminuzione. A loro vanno aggiunti circa 650mila irregolari che sono considerati “gli invisibili”. I Paesi di provenienza dei più di 5 milioni di immigrati sono perlopiù Romania (un milione e 200mila circa), Marocco (400mila), Albania (390mila), Cina (289mila), Ucraina (227mila) e India (160mila). Nel resto d’Europa la Germania, con oltre 13 milioni di migranti, si attesta come il Paese con il maggior numero di cittadini stranieri residenti (+3 milioni negli ultimi 4 anni). Seguono Regno Unito e Francia con, rispettivamente, 9,5 milioni e 8 milioni. Con una popolazione che oscilla intorno ai 5 milioni di migranti, l’Italia e la Spagna sono state la quinta e la sesta destinazione in Europa nel 2019. L’incidenza più elevata sulla popolazione è invece registrata dalla Svizzera (29,9%), seguita da Svezia (20%), Austria (19,9%) e Belgio (17,2%).Soffermandoci proprio su questi 650mila invisibili, sono perlopiù loro che, in nero e fuori da qualsiasi regola, raccolgono i nostri ortaggi, puliscono le nostre case, si prendono cura dei nostri anziani e dei più fragili, sopravvivono grazie al piccolo commercio nelle grandi città e a volte finiscono in mano alla criminalità organizzata che li sfrutta per aumentare la produttività. In una parola, si arrangiano come e dove possono, condividendo spazi vitali anche molto piccoli con persone di cui sanno poco o nulla come facevano gli schiavi dei tempi che furono.
Proprio secondo l’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, il numero di stranieri irregolari presenti su territorio nazionale è continuato a crescere stabilmente in questi ultimi anni. Infatti, stando alle parole di Matteo Villa, “dopo aver toccato un minimo inferiore alle 300.000 unità nel 2013, a gennaio 2020 si stima che le presenze irregolari siano più che doppie, superiori alle 600.000. Per dare un’idea delle dimensioni del problema, ai ritmi attuali (7.000 rimpatri l’anno) per rimpatriare tutti i 610.000 irregolari presenti nel Paese occorrerebbero 87 anni”.
Qui nasce il primo grande problema di natura soprattutto sanitaria esposta a Repubblica dall’economista Tito Boeri, ex presidente dell’Inps:
“Gli immigrati irregolari sono ormai più di 650 mila […]. Vivono molto di più in promiscuità degli altri immigrati perché hanno minori fonti di reddito e non possono firmare un contratto d’affitto. Se solo un italiano su cento convive con persone diverse dai suoi famigliari, un immigrato irregolare su tre convive con persone con cui non ha alcun legame di parentela. Dichiarano, se intervistati, che non andranno mai da un medico di base, perché hanno paura di essere espulsi. Semmai, se proprio costretti, vanno al Pronto Soccorso, dopo aver contagiato chissà quante persone”.
Nonostante questo, bisogna anche sottolineare come, attualmente, non esiste alcuna correlazione certificata tra aumento dei contagi di Covid-19 e immigrazione. Anche in questo caso i numeri riportano in un alveo del tutto tranquillizzante. Tra maggio e giugno di quest’anno solo lo 0,4% dei 59.648 stranieri del sistema di accoglienza per richiedenti asilo è risultato positivo al Covid-19. Al 22 aprile 2020 in Italia su 179.200 persone diagnosticate, solo il 5,1% era attribuibile a individui di nazionalità straniera. Caritas e Migrantes hanno voluto sottolineare, quindi, come non ci sia stato in questi mesi alcun allarme sanitario ricollegabile alla presenza di cittadini stranieri.
Ma come vivono questi migranti irregolari? Il lavoro nero dei migranti irregolari è un fenomeno difficile da rappresentare concretamente con i numeri. Un’indagine ISFOL datata, però, 2014 sottolinea come un gran numero di loro viene impiegato nel settore agricolo, poi vi sono artigiani, operai specializzati, ma anche badanti, colf o piccolo commercio in città. Non si hanno stime della loro distribuzione regionale, ma è presumibile che il divario impiegatizio sia dovuto ai diversi livelli produttivi del nostro Paese. È ovvio immaginare che i lavoratori agricoli siano più al sud, mentre gli operai specializzati al nord.
Proprio l’agricoltura, come molti altri settori, rischia di pagare un prezzo molto alto a causa della pandemia. Si stima che manchino in totale 250mila lavoratori dato che gli stagionali stranieri sono bloccati nei loro Paesi. Dall’inizio dell’emergenza sanitaria è stato registrato un aumento del 15 – 20% di stranieri sfruttati nelle campagne, che corrisponde a circa 40 – 45mila persone in più che hanno visto anche un peggioramento delle condizioni lavorative con un incremento delle ore di lavoro giornaliere (da 8 a 15 ore in media) e un peggioramento della retribuzione.
Questo è dovuto soprattutto ad una maggiore accondiscendenza di queste persone che non vogliono, ovviamente, morire di fame e accettano condizioni anche estreme, ma anche all’estrema lentezza nella regolarizzazione degli immigrati irregolari, tanto attaccata da una certa fazione politica. Sono state presentate, infatti, “appena” 207.542 domande che riguardano, soprattutto, il lavoro domestico (85% del totale) e il resto per gli altri settori, quasi interamente rappresentati dall’agricoltura. La Sicilia con 3584 istanze segue la Campania (6962) come regione nella quale sono state presentate il maggior numero di richieste davanti a Lazio, Puglia, Veneto ed Emilia Romagna. Secondo Caritas e Migrantes, restano “le perplessità per una procedura nata principalmente per rispondere alla presenza di lavoratori in nero nel settore dell’agricoltura e che invece sembra rispondere in via principale alle esigenze del mondo del lavoro domestico e del cosiddetto badantato”.
Stando alle parole della Uil, il lavoro nero agricolo vede un numero di invisibili pari a circa 345.000 persone. Molte di loro sono immigrati irregolari provenienti dall’Africa e sono proprio i più esposti allo sfruttamento e al caporalato. La loro invisibilità preoccupa anche a causa delle scarse condizioni igieniche e sociali in cui tipicamente vivono, con esempi alquanto tristi come San Ferdinando in Calabria, Foggia o la provincia di Ragusa in Sicilia. L’allarme è stato lanciato in una lettera scritta da vari firmatari tra cui Terra! e FLAI-CGIL:
“C’è il rischio che il Covid-19 arrivi in quegli insediamenti, tramutandoli in focolai della pandemia. Ma le soluzioni ci sono: i Prefetti – destinatari di nuovi poteri a seguito del DCPM del 09 marzo – possono adottare disposizioni volte alla messa in sicurezza dei migranti e richiedenti asilo presenti sul territorio, mediante l’allestimento o la requisizione di immobili a fini di sistemazione alloggiativa. Le risorse necessarie per gli eventuali interventi di rifacimento e adeguamento degli immobili requisiti potrebbero essere attinte dalla dotazione del Piano Triennale contro lo sfruttamento e il caporalato”.
Ragusa, ad esempio, nonostante le sue esigue dimensioni, è una delle dieci province del nostro Paese dove più alto è il numero di abitazioni acquistate da immigrati. È uno dei dati contenuto nel XXIV Rapporto Immigrazione 2020 di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, intitolato “Conoscere per comprendere”. Ragusa, però, è anche una di quelle province dove la Caritas ha documentato i meandri dell’immigrazione irregolare in cui ci sono casi di gruppi, a volte composti anche da più di dieci persone, che vivono all’interno di catapecchie, con i bagni che generalmente si trovano all’esterno e sono delle vere e proprie latrine.
Parliamo di case che spesso vengono usate come magazzini e che vengono affittate a prezzi assurdi con cifre che raggiungono i 400 euro al mese. Non hanno acqua e luce, i confort anche di prima necessità hanno un costo a parte che intaccano il salario già ridotto all’osso. Vincenzo La Monica, responsabile immigrazione della Caritas, ha spiegato al Fatto Quotidiano:
“In queste zone c’è un caporalato con delle caratteristiche più sfumate rispetto al resto d’Italia, nel senso che la gestione del lavoro in serra, con l’impiego di poche persone per un periodo di tempo ampio, fa sì che nei campi di lavoro vi siano anche i caporali, ma che assumono spesso il ruolo di caposquadra. Quindi i caporali lavorano con le stesse persone che reclutano. In passato abbiamo registrato anche forme di caporalato più pesanti soprattutto nei confronti dei rom che venivano reclutati in patria e privati dei documenti e, addirittura, anche della paga”.
Non bisogna poi dimenticare che anche le collaboratrici domestiche e le badanti compongono un’altra grande parte di questo esercito di esclusi e invisibili. Stando alle parole di Andrea Zini, vice presidente Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico, “ancora prima che la diffusione del coronavirus sconvolgesse il nostro Paese avevamo stimato che in Italia lavorassero in nero circa 200 mila domestici senza regolare permesso di soggiorno. Una piaga sociale ed economica che oggi rischia di diventare vera e propria emergenza se il Governo non metterà mano alla questione. Ecco perché scegliere di non regolarizzare anche colf, badanti e baby sitter insieme ai lavoratori dell’agricoltura sarebbe un errore gravissimo”.
Infine, sempre parlando della provincia di Ragusa, terra che se non fosse chiaro, vivo giornalmente, al caporalato lavorativo, si aggiunge poi quello “dei trasporti” con persone che si fanno pagare a caro prezzo per portare i lavoratori da casa a lavoro e viceversa. I prezzi aumentano vertiginosamente se oltre al lavoro si aggiunge la volontà di raggiungere il centro abitato per compiere operazioni banali come fare la spesa o addirittura andare all’ospedale. Da Vittoria a Ragusa, la cui distanza è di circa 24 chilometri, possono volerci anche 50 euro che corrispondono ad un giorno e mezzo di lavoro.
Insomma, al di là di slogan e prese di posizione politiche, il caporalato è una piega ancora molto forte in Italia che sfrutta una grave falla che è quella dell’immigrazione irregolare le cui regolarizzazioni vanno molto a rilento. Di problemi in Italia ve ne sono molti e, sebbene attualmente la priorità sia trovare una cura al Covid-19 e gestire l’emergenza sanitaria, gli altri non andrebbero tralasciati altrimenti il rischio è che possano diventare voragini o trasformarsi in capri espiatori per coloro i quali fomentano inutili campagne propagandistiche di odio.