Giuliano Macca è un artista italiano nato il 20 maggio 1988. Intraprende i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove consegue il diploma triennale con il massimo dei voti. Nel 2011, all’Artexpo di Arezzo, partecipa alla mostra collettiva dell’Accademia di Roma.
Ha acquisito notorietà – soprattutto nella Capitale – con la sua prima mostra “Ladri di luce”, ospitata nella suggestiva Mirabilia Art Gallery di Roma. Curata da Paola Aloisio questa esposizione “tenta di ristabilire una connessione con i sentimenti, tenta di rendere visibile il dolore, non quello fisico ma quello dell’anima.“

Locandina della mostra “Ladri di luce”.
Quando vidi una delle sue opere, navigavo per caso su Instagram e ad un certo appunto venni attratto da un suo dipinto. Dovevo conoscere chi c’era dietro quelle tele; sono andato ad intervistarlo…
Chi è Giuliano Macca?Allora questa domanda è un po’… cioè non è semplice come sembra. Diciamo che sono una mente abbastanza dinamica, quindi questo mi ha portato sempre a sperimentare e sperimentarmi, no? Quindi provare sempre cose nuove e cercare sempre degli stimoli diversi; fondamentalmente sono un ricercatore. Questo mi ha portato a conoscermi sempre di più e mi sono reso conto che non sono una persona sola. Più sperimento nella mia vita e più mi rendo conto di avere dei lati abbastanza nascosti. Quindi non ti posso dire un aggettivo preciso, ti posso dire che sono… cioè la vita mi ha portato a crescere abbastanza in fretta e questo forse ha fatto sì che io rimanessi un sognatore. Sì, se ti devo dire una parola sola ti dico sognatore; però, ecco, sono in continua ricerca anche di me stesso.
Tu mi hai parlato anche di “stradismo”, mi potresti dire che cos’è? E perché è nata questa corrente?
Allora lo stradismo innanzitutto è stato lanciato – in maniera embrionale – il 28 settembre dell’anno passato alla Mirabilia Art Gallery. Fondamentalmente ti dico: è nata molto naturalmente, mi sono detto di inquadrare il mio modo di fare arte con delle parole chiave, con dei punti no? E c’è stata una mia collaboratrice – ed anche un’amica – Paola Aloisio la quale mi ha aiutato a mettere tutta quest’aria, un po’ per iscritto. Non sarò esaustivo perché vorrei conservare il tutto e dargli lo spazio che merita, stiamo anche pensando di fare proprio un collettivo a tutti gli effetti: selezionare delle persone e fare una collettiva nel 2019. Quindi poi alla gente che mi segue su Instagram, dirò le varie info. E’ semplicemente un ritorno al passato, un ritorno allo scoprire un romanticismo – a mio parere – perduto, a un conoscere bene la tecnica per scegliere di abbandonarla, se qualcuno la vuole abbandonare. Fondamentalmente è questo: è creare – te la dico in maniera riassuntiva – un collettivo che possa essere di crescita per tutti; perché è una cosa che un po’ si è persa, cioè ormai vedo che quasi tutti gli artisti sono un po’ fermi nel loro… come se conservano gelosamente quello che apprendono e quindi non si donano agli altri.
Una forma di egoismo diciamo?
Sì, una forma di egoismo o forse di paura ti dirò. Perché secondo me la gente che poi non vuole condividere ha paura che qualcuno gli ruba qualcosa. Mentre secondo me, come io posso concepire una giornata di sole: la concepisco in maniera diversa da te. Tu la esprimerai in maniera diversa; quindi non c’è nulla da aver paura, anzi, la contaminazione è quella che ha fatto crescere anche le grandi avanguardie storiche. Noi invece siamo un po’ chiusi, nasce quindi anche per questa esigenza di andare nei bar.
Credi che le tue opere possano essere definite rivoluzionare?
Allora, ti dico – senza alcuna presunzione – sì. Cioè non ci nascondiamo dietro un dito, io penso che qualsiasi persona esprima e senta l’esigenza di esprimere, ha una rivoluzione interna. Io ti dico che le mie opere sono rivoluzionarie in quanto io combatto, c’è una guerra dentro di me; quindi c’è già una rivoluzione che io metto a nudo, che io esprimo e rigetto nelle tele, capito? C’è chi lo fa in altro ovviamente.
Infatti faccio questa domanda a quasi tutti gli artisti che intervisto perché mi interessa sapere la propria opinione.
Sì, ma c’è rivoluzione […] ed è anche giusto che ci sia, perché comunque okay, l’arte è passione e tutto quello che vuoi ma per me è passione l’arte degli altri, la mia è un’esigenza. Un’esigenza di tirar fuori delle cose che c’ho. Quindi è già rivoluzionaria e in più io penso che essendoci questo ritorno al passato: “in un mondo in cui va il nudo, io copro” – questa è una metafora – per farti capire che già è rivoluzionaria la mia arte in quanto si va a riscoprire un senso dell’amore che non esiste più. Siamo in un contemporaneo in cui tutti dietro i social fanno capire che sono forti, no? Io invece mi metto a nudo ed è già una forma di rivoluzione secondo me. Quindi la mia arte è assolutamente alla riscoperta di un umano che si sta appiattendo sempre di più; è già rivoluzionaria per questo secondo me, poi ovviamente non sta a me dire se è rivoluzionaria o cambierà qualcosa. Penso di sì.

“Cuori di Cristallo” (60×80, olio su tela), Giuliano Macca.
Perché hai scelto di realizzare opere aventi come soggetti principalmente donne?
Di base c’è un mio gusto, quindi è una scelta stilistica. Poi io sono stato – ora non voglio dire che la donna è migliore dell’uomo o l’uomo è migliore della donna, non stiamo qua a parlare di questo – però ti posso dire che ho sempre avuto un fascino particolare nei confronti della donna; o meglio ancora nella sofferenza, nel modo di attutire la sofferenza di una donna. Io penso che la donna sia – non so come dirti – abituata al dolore: vedi ogni mese, vedi anche – una cosa con cui ho ragionato sempre io – come danno vita le donne, cioè cosa fa la donna per dare vita e cosa fa l’uomo, capisci? Quindi secondo me hanno un tipo di sofferenza differente. Infatti nel mio Instagram – dico sta cosa perché poi mi contatta un sacco di gente – ho scritto “amo le donne che piangono“, non è che amo vedere le donne che stanno male; però io penso che nel pianto di una donna c’è molto più, c’è qualcosa da raccontare. Quindi secondo me la donna è una riflessione, è già arte la donna, per questo. Che poi fondamentalmente ad alcune [opere] non mi interessa dare un sesso a quello che faccio. Però come dici tu, il 75% della mia produzione sono donne, quindi sì, per questo motivo.

“Mistero a Parigi” (60×80, olio su tela), Giuliano Macca.
Sempre riferendomi alle tue opere ti volevo chiedere: come scegli luce e colori nelle tue tele?
Allora io vado molto a sensazioni. Non sono machiavellico in quello che dipingo, non sono uno che a tavolino si studia… cioè molto spesso io disegno quello che voglio fare sul taccuino – per dirti – e poi neanche lo guardo. Quindi vado molto a sensazioni. Sicuramente prediligo alcuni colori più degli altri: come le tonalità terrose o i rossi come si può notare; però li scelgo nel durante. Cioè io non ti dico “questo panneggio lo voglio fare blu e finirà blu“, lo immagino blu però possibilmente cambia. L’importante è che io sono deciso sui volti, sugli occhi e sul tipo di luce che cambia in base ai disegni e in base ai soggetti.
Il 16 e il 17 maggio – correggimi se sbaglio – uscirà la tua mostra, ti volevo chiedere: cosa ti ha spinto a realizzare “Cuori di Cristallo e perché proprio questo nome?
Sono delle domande che richiedono un po’…
Allora ti dico: innanzitutto è un progetto che è in cantiere da anni. Non sono come… cioè nonostante sono un giovane artista – comunque ho trent’anni – però mi rendo conto che in questo contemporaneo molti miei coetanei hanno già alle spalle 7/8 collettive personali, io invece sono stato uno che ha voluto sempre fare delle mostre quando ha avuto qualcosa da dire. Non mi va per la fretta fare magari, non essere orgoglioso di un mio progetto. Quindi “Cuori di Cristallo” è un qualcosa che c’è forse dalla mia adolescenza; prima di “Cuori di Cristallo” c’è stata “Ladri di luce” sempre da Mirabilia Art Gallery di Giano Del Bufalo curata da Paola Aloisio e già c’era in cantiere “Cuori di Cristallo”. E’ una scoperta verso la strada, ho – diciamo – fatto confluire tutte le mie ricerche in una metafora di luogo che è il bar, quindi il bar di notte e quindi questi bicchieri, no? Ho fatto questo parallelismo tra il cuore e il bicchiere, il bicchiere di cristallo. Ho fatto questo viaggio che poi è una cosa mia personale: quando il cuore si riempie il bicchiere è vuoto, quando il cuore è vuoto il bicchiere è pieno. Diciamo bevi per dimenticare, comunque questi addii e ho preso come punto cardine di tutto il bar e la sofferenza del bar. Molti vanno nel bar prendono qualcosa da bere e non si accorgono delle persone che frequentano il bar; io invece sin da piccolo – per delle esperienze mie, che non sto qua a raccontare – ho vissuto sempre questi luoghi notturni. E per la prima volta con una poetica differente, ho scelto di metterli in atto e di condividerli sperando che arrivi questo messaggio.

Locandina della mostra che aprirà dal 16 maggio (Roma).
Tu sei un artista che è partito da zero, come hai fatto a realizzare tutto ciò?
Intanto ti ringrazio per questa domanda perché significa allora che qualcosa ho fatto, perché magari uno nella foga di far qualcosa non si rende conto. Io ovviamente mi sento ancora che sto iniziando adesso, per me è un inizio questo qua. […] Per essere esaustivo a questa domanda ti devo parlare un pochettino della mia vita. Cosa mi ha portato? Mi ha portato… Io sin da piccolo sono stato “dotato” – se così si può dire – di una sensibilità molto particolare.
Per dirti: quando ero piccolino sai ti piaceva un ragazzina quindi ai tempi si scrivevano le lettere quelle “Vuoi stare con me? Sì o No” era così ed io già ero molto poetico; avevo un approccio alla vita molto poetico scrivevo tipo una lettera, mi ricordo che c’era una ragazza che abitava di fronte a me però io non potevo vedere casa sua, perché c’erano degli alberi. Una volta – ahimè – hanno tagliato gli alberi e io le ho scritto una lettera “adesso finalmente posso vedere la luce di casa tua” cioè ho scritto una poesia che la ragazzina – giustamente a 8/9 anni – l’ha presa e si è messa a ridere. Quini questa cosa da piccolo mi ha fatto pensare e ho detto: “allora questo mio approccio alla vita mi fa stare male, se mi ridono in faccia con qualcosa che dico io…“. Allora lì ho iniziato a vivere un po’ di più la strada – poi comunque tu sai, sei siciliano come me – c’è un residuo del “il vero uomo non piange“, “non mostra i sentimenti” e quindi sono cresciuto parallelamente con questi due caratteri; fino a quando poi a 18, 19, 20 anni ho detto: “che cazzo“. Diciamo che la mia carriera artistica nasce con i graffiti, per la prima volta ho detto: “alla delinquenza lego l’arte” quindi faccio qualcosa che possa andare di pari passo e comunque, il mondo dei graffiti m’ha dato tanto, m’ha dato il dire: “io voglio mettere il mio nome in alto a quel palazzo e se voglio lo posso fare, dipende da me“. Questa determinazione e questa fame mi hanno portato a dire: “okay, ora basta di scrivere il tuo nome in alto, porta qualcos’altro in alto” e allora ho messo tutto su tela, con una poetica differente, ho messo a nudo quelle che sono la mia sensibilità. Se sono arrivato qua che ancora – ti ripeto – io mi sento di essere appena partito è solo perché non voglio più vedere il mio frigo vuoto e perché ho veramente vissuto periodi bruttissimi della mia vita e sono stato sempre determinato, c’ho avuto sempre fame. Quindi per questo forse.
In tutto ciò, nel percorso che hai compito fino ad oggi – come mi hai appena detto – c’è una persona che per te è stata o è importante tutt’oggi? E che ti ha sostenuto in quello che hai fatto?
Innanzitutto persone che credono – fortunatamente – in me ne ho incontrate tante: dalle persone che hanno acquistato le mie opere perché comunque lo fai, c’è un artista emergente, lo fai perché credi nel lavoro di quella persona. Però se ti posso dire una persona su tutte a livello artistico che mi ha aiutato è stato il mio maestro che è Michele Cossyro che mi ha aiutato in un periodo della mia vita bruttissimo in cui io stavo a Roma e barattavo disegni in cambio di un letto perché non avevo i soldi per l’affitto; avevamo una casa in 9 persone, condizioni umane proprio disagiate e lui mi aiutava: andavo in studio da lui, mi regalava i colori – adesso si può dire – mi aiutava anche economicamente, mi dava qualcosa per vivere ma soprattutto la cosa che mi ha data è stato l’approccio con l’arte e mi ha fatto capire che avevo un potere nelle mani, che dovevo sfruttarlo, un’arma, quindi le mie debolezze le ho fatte diventare armi. Quindi lui. E se poi ti devo dire nella vita una persona che mi ha aiutato tantissimo è stata mia madre perché – non so come dirti – è stata una persona che sai “io vorrei mio figlio che diventasse medico“, invece lei quando ha visto che io già a 14 anni le avevo imbrattato l’80% di casa sua mi ha detto che comunque quella era la mia strada e mi ha sempre sostenuto; anche se molto spesso ti dicono “adesso c’hai 24/25 anni hai visto che con l’arte non ce l’hai fatta, vai a lavorare“. Lei invece mi ha detto sempre di seguire il mio sogno e la mia esigenza. Quindi ti dico mia madre e a livello artistico invece Cossyro e tantissime altre persone , poi possibilmente domani incontro una persona che mi servirà… capito?
Esiste una filosofia che può definirsi come tuo karma?
Se ti devo dire una frase, ti dico: “Volli, sempre volli, fortissimamente volli“; quella che mi rappresenta di più, che è quella che ogni tanto mi ripeto, tra me e me.
Pensi che i social ti abbiano aiutato in quello che fai?
Io ho sempre usato i social fin da tempi non sospetti, quindi 6/7 anni fa quando è arrivato io già mettevo la mia arte; sono stato un po’ atipico su questa cosa. Non ho mai messo la mia vita – nel senso – io la mia vita la vivo. Quindi io da subito ho capito il potere che poteva avere, cioè non ho mai messo il piatto di pasta che mi mangio perché lo mangio, capito? Ho sempre visto Instagram come una vetrina.
Pensi che ci sia stato un riscontro, da parte degli utenti che vedevano le cose che mettevi?
Sì, penso di sì perché comunque cioè adesso che siamo quasi a 30.000 persone che mi seguono e quindi quello che faccio sicuramente arriva e la gente ha interessa a seguirlo, quindi io sono onorato di questa cosa. Sì, come ai tempi si scriveva su “Lacerba” per fare arrivare dei messaggi, adesso c’hai comunque ‘sto mezzo e sarebbe stupido non usarlo. Quindi io nel giusto perché non è che metto la mia mostra su Instagram, perché la mostra è bella anche se te la vai a vedere; però comunque magari che c’è un po’ di arte – che poi ho visto che è un fenomeno che si sta allargando fortunatamente, ci sono tanti artisti – se posso mettere arte anziché le solite cazzate – che poi che ben vengano anche quelle, perché ti fanno capire il rapporto. Però sì, mi ha aiutato tanto. Molta gente mi contatta che vuole visionare le mie opere, tu mi hai contattato su Instagram, quindi è servito. Sì serve, io consiglio di usarlo in maniera intelligente ecco.

Studio di Giuliano Macca (Roma).
Io, quando ho visto i tuoi quadri per la prima volta – su Instagram appunto – ho pensato, la prima cosa che mi è venuta in mente è stata: “Il ritratto di Dorian Gray” […] e si può dire che questi, rappresentano il conflitto tra piacere estetico-edonistico e moralità?
Io ti dico che non parlerei innanzitutto di conflitto, cioè la moralità non è una domanda che mi pongo anche perché: cos’è la moralità? Cioè la moralità è una cosa che va di pari passo con la crescita – diciamo – di una società – non so come dirti. Ai tempi essere nudi era quasi normale, se lo fai adesso ti arrestano. Quindi cos’è il concetto di moralità? Non è una cosa che io mi chiedo. Capisco che tu moralità me la dici come senso estetico, infatti io non ti parlerei di conflitto ma di giusto compromesso, forse. Perché se ti devo dire, tu mi parli di edonismo, mi parli di piacere istantaneo, no? Se adesso io cerco di trovare – non so – una giusta cosa tra la moralità e comunque il piacere istantaneo che quindi anche, nella deformazione dei volti dare un’armonia. Se un domani dovessi rinunciare a un qualcosa sicuramente rinuncio alla moralità; quindi può essere che magari cambi tutto. Invece il paragone che mi hai fatto con Dorian Gray lo trovo nel tempo, io sono ossessionato dal tempo che passa, dall’invecchiare – sai tutte queste robe così.
Dal decadimento?
Sì sì sì.
Un decadimento estetico o morale?
Più morale, più morale. Perché estetico mi interessa relativamente a differenza di Dorian Gray. Però – e poi mi rendo conto che ormai è quasi nevrotico – non so: “i baci perduti”, “gli addii”, “quello che potevamo dirci”, “conserva le cose che non ti ho detto”, c’è questo senso di tempo, di non riuscire a tornare indietro. Io farei a volte un patto col diavolo per tornare indietro.

Disegni con BIC, Giuliano Macca.
Gli occhi nelle tue opere, perché li disegni in questo modo? E’ una cosa originale, […] a me la tua tecnica è sembrata un qualcosa di nuovo. Quindi, da dove è nata questa cosa?
Questa è una domanda molto interessante, perché…
Cioè io quando vedo questo quadro sembra proprio che questi occhi mi guardino, mi sento come spaesato, sperduto.
L’occhio ha avuto un ruolo sempre molto importante nella mia vita. Io ho avuto la fortuna di avere un nonno che dipingeva, quindi sin da piccolo – che so – ho avuto da subito questo approccio, questa mia sensibilità da subito l’ho messa sul foglietto. E già da piccolino – che poi ho ritrovato i miei disegni – già dipingevo gli occhi, disegnavo gli occhi: i profili, i ritratti. Ho avuto sempre questo, la bellezza per me è stata sempre collegata al volto, agli occhi, soprattutto agli occhi. Come tu puoi vedere nelle mie opere, metto maggiore cura – ovviamente – nell’occhio per poi magari il volto a volte si dissolve nell’aria e in tante altre cose. Perché io penso che l’occhio possa essere… sai, Dostoevskij diceva: “la bellezza ci salverà“; io penso che l’occhio è quasi testimone di quello che ci sta succedendo e quindi può essere l’unica cosa che ci può invitare a riflettere a non essere noi l’apocalisse. E’ un po’ complesso, è tutto un viaggio mio, però io penso che tra 10 anni dipingerò l’assenza di un volto. Perché io penso che questo contemporaneo stia andando sempre di più ad appiattirsi. Noi aspettiamo gli “angeli dell’apocalisse” quando in realtà non ci rendiamo conto che, il nostro presente ci sta portando, verso una strada senza uscita. Se tu vedi comunque si è abbassato l’indice di tolleranza, di attenzione, di un sacco di cose no? L’occhio però c’è ancora. L’occhio è quasi un giornalista, sta documentando tutto questo; è ancora fluido, ancora lucido anche se le carni si stanno dissolvendo.

Dettaglio. “Mistero a Parigi” (60×80, olio su tela), Giuliano Macca.
E’ lui che guarda noi, non siamo noi che guardiamo l’opera.
Secondo me è uno specchio veritiero, ti guarda e ti dice: “guarda quel cazzo che stai facendo“. Quello che dico io – cioè, non so come dirti – a me piace la donna, io sono un fan delle donne, sin da piccolo. Però ti dico: quando una donna è costretta per attenzione, perché questo contemporaneo glielo chiede, di mettersi a nudo per avere attenzioni, tu stai già donando una parte di te; che cazzo me ne fotte adesso di guardarti il culo che lo vedo da quando ti seguo su Instagram, capito? Non c’è più quel senso del mistero. Questo senso del mistero ci porta anche a perdere piaceri, quindi l’occhio è come se ti dice: “cazzo, cerca di recuperare tutto“. Poi a me non piace descrivere una mia opera, io ti parlo di quello che ho in mente, spero che arrivi. E poi gli occhi, cioè tutti dicono: “lo specchio dell’anima“, a me tutti questi cliché non piacciono. Per me a volte dovremmo usare meno la bocca e più gli occhi, sarebbe più silenzio e più verità.

Dettaglio. Studio di Giuliano Macca (Roma).
Inoltre, trovi l’intervista video su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=g72OloNBfBs