Intervista a JAGO: “Il Figlio Velato”, l’opera collettiva fondata sul crowdfunding

Jago Jacopo Cardillo è un artista italiano nato il 18 aprile 1987 a Frosinone. Ha acquisito notorietà grazie ad un documentario dedicatogli da FanPage che ha superato le oltre 13 milioni di visualizzazioni. Nel 2009 ha realizzato un busto in marmo di Sua Santità Benedetto XVI, poi spogliato e trasformato in Habemus Hominem in seguito alle dimissioni del Pontefice, per il quale nel 2012 ha ricevuto l’Onorificenza della Santa Sede “Medaglia Pontificia”, consegnatagli dal Cardinal Ravasi e dal Segretario di Stato Cardinal Bertone, presso la sede del Pontificio Consiglio per la Cultura in Roma.

Seguo da sempre JAGO sui social e il suo concetto di “social artist” mi affascina, ultimamente guardando le sue storie su Instagram mi ha incuriosito questo progetto che fino al 1 giugno era ancora un mistero. Parlava di un “progetto rivoluzionario“, “un progetto che avrebbe coinvolto tutti“, “un progetto che richiedeva coraggio“. Il 2 giugno il mistero è stato svelato. Così sono andato ad intervistarlo.

Cosa ti ha spinto a realizzare il “Figlio velato” e perché?
[…] Il motivo per cui ho realizzato quest’opera è perché… siamo bombardati da immagini di un certo tipo e io in qualche modo, ho voluto restituire, non inventare ma restituire qualcosa che mi è arrivato. Perché in continuazione mi arrivano immagini… è un’immagine ovvia in realtà, che tutti possiamo riconoscere perché appartiene ad ognuno di noi. Quindi citando l’opera del Sanmartino che è il Cristo velato e quindi partendo da un contenuto, da un’immagine che tutti conosciamo, che tutti comprendiamo perché è stratificata nella nostra cultura, sedimentata no? E quindi la utilizziamo in maniera anche inconscia, come termine di paragone per la bellezza. Per tutta una serie di cose. Io partendo da quello ho voluto parlare in maniera diversa. Strumentalizzando quell’immagine che tutti conosciamo, l’”immagine del sacrificio”, parlare di altro, e quell’altro è il “sacrificio della contemporaneità”.
Perché oggi, al contrario del “Cristo (velato)” e di tante altre, diciamo figure, personaggi illustri che hanno sacrificato consapevolmente la loro vita, in favore dei beni della collettività… oggi Noi, il sistema… Noi sacrifichiamo… i giovani… i bambini… e lo facciamo, contro la loro volontà… questo Noi facciamo… e allora è interessante tutto questo. Non c’è consapevolezza in quel sacrificio, c’è consapevolezza da parte di chi sacrifica. Noi sacrifichiamo consapevolmente, loro malgrado… e questo secondo me era interessante. […]

Perché hai scelto di rappresentare la sofferenza di un bambino e non di un adulto?
Perché… il titolo dell’opera è Il Figlio velato […] cioè la nostra attenzione come essere umani è sempre nei confronti della tutela dell’innocente […]. Noi tuteliamo, noi proteggiamo, perché il desiderio inconscio dell’essere umano è quello di poter resistere, okay? Poter andare avanti, poter mantenere una condizione esistenziale e quindi di conseguenza, il bambino è un puro, il bambino è innocente, il bambino, non è stato educato, non è stratificato, non ha la sovrastruttura della cultura, no? […] che lo determina, no. E’ tutto il contrario di tutto, impotenza, ma è anche impotente, ecco la caratteristica del bambino: il bambino è impotenza, tutto il contrario di tutto ma è impotente allo stesso modo. Quindi rappresentare il bambino vuol dire rappresentare il nostro figlio, vuol dire dare ad ognuno la possibilità di vedere se stesso, di vedere i propri parenti, senza il giudizio, perché il bambino è l’immagine dell’incapacità del giudicare. E quindi noi quando vediamo un bambino vediamo l’immagine della purezza, okay? Questa è la cosa incredibile.

Bozza de “Il figlio velato”. Studio di JAGO (Anagni).

Che cos’è che ti permette di definire la tua opera “rivoluzionaria”?
Guarda… io quando uso questa parola, non la uso per… diciamo suggerire agli altri, a chi osserva l’opera un punto di vista sull’opera stessa, come per dire: “Oh guarda io sto a fa ‘na cosa che non l’ha fatta mai nessuno, so’ un grande”, no. La rivoluzione vera è quella mia, interiore. Se io riesco a trasformare il mio punto di vista, il mio modo di vedere le cose… Questa cosa, questa capacità mi permette di vedere meglio me stesso. Nel momento in cui, io rivoluziono il mio punto di vista e quindi faccio un’opera che magari mi fa vedere le cose in modo diverso, allora io posso fare una rivoluzione, dove? Dentro di me. La rivoluzione è sempre interiore. Se io fornisco un’immagine forte, un’immagine capace di tradurre la realtà, in maniera istantanea e accessibile a tutti, allora io faccio una rivoluzione, perché la rivoluzione si fa sui punti di vista.
Cioè io da piccolo non sopportavo il fatto di dormi’ a fianco a mio fratello perché mi dava fastidio il suono del suo respiro e non riuscivo a prende sonno, quel porello che cavolo c’entrava cioè, anche io facevo rumore quando, anzi forse peggio di lui, ma la rivoluzione qual è?  Quando tu un giorno hai paura […] hai bisogno di quello stesso suono, di quello stesso rumore che prima ti dava fastidio, questa è la rivoluzione: quando tu impari a guardare una stessa cosa, che odi, da un altro punto di vista e la tua vita ti cambia, il tuo punto di vista ti cambia, la tua modalità cambia completamente. […]

Tu hai parlato di crowfunding, per la realizzazione de “Il Figlio Velato”, quindi possono i tuoi followers – visto che tu sei anche definito come un “social artist” – definirsi: “novelli mecenati”?
E l’intento è proprio quello. Tu immagina: già iniziano ad arrivare molte critiche o commenti rispetto a questa operazione, perché chiaramente dicono: “e che ci devi fa’ co 100.000 euro”, cose del genere, non hanno, molte persone non hanno idea che un’opera del genere la vendi a molto di più in realtà se la vendi a un privato, che il 50% se ne va in tasse, che ci devi togliere le spese e che poi alla fine non hai neppure la capacità economica per poter reinvestire; se io ti dico che dei 110.000 euro della vendita del Papa io ho guadagnato meno di 7… mila, vi fate una risata, dici: “ma tu sei un morto di fame!”, cioè veramente arrivi forse, se Dio vuole, a fine mese e riesci a… e con tutto che quello che do poi contribuisci alla famiglia, a tutta una serie di cose. […]
Quindi il crowdfunding è una cosa interessante, questo che stiamo facendo è  un esperimento che può dare la possibilità a tutti di cambiare le cose; e poi è una formula, perché questa formula se funziona, funziona per tutti ed è democratica, e come: immagina che fai una raccolta firme. Tu ti metti e raccogli le firme e tutti firmano, non firmano, non c’hanno tempo… ma immagina se ogni firma corrispondesse a: “devi dare 10 euro per firma’”, non firmerebbe nessuno, nessuno! E pure buttiamo, ce li perdiamo per strada, per cazzate, per cose così; però per una cosa che serve Non –lo – facciamo, eppure siamo i primi che vanno a criticare, che fanno i moralisti! No? “Eh uha eh come fai?” perché l’artista deve continuare a fare il morto di fame e non può essere imprenditore, manager di sé stesso e avere un’idea lungimirante che si traduca in un gesto di restituzione per la collettività. […] Fare una cosa del genere significa: riuscire a mettere in un posto pubblico, un’opera, che appartiene alla collettività, che restituisce alla collettività: una grande immagine di partecipazione. Cioè NOI. Tu immagina che entriamo in un museo e dici: “Questa l’ho fatta anche IO”, quanto hai dovuto investire per fare una cosa del genere? Cavolo sei un mecenate anche tu! Perché hai partecipato, un “mecenate 2.0”, un giovanissimo di 19 anni che dice: “guarda anche io ho partecipato a questo perché ci credevo”. Vedilo fra 10 anni, se questa cosa funziona, è rivoluzionario! Questa è la vera rivoluzione! […]
E quando tu raccogli 10.000 firme – perché per arrivare a 100.000 euro ci vogliono 10.000 persone che donano 10 euro  – sembrano tante, non sono poche ma possono essere tantissime, dipende. Perché poi quando si tratta di donazioni tutti dicono: “Ehh oddio non lo faccio, non lo faccio” ecc. ecc.
Sarà stata un’esperienza se è un fallimento, i fallimenti servono nella vita. Ma alla fine tu avrai un’opera che vale come una raccolta firma per cambia’ una legge. Perché quando tu entri in un museo, quella cosa è stata fatta da D-I-E-C-I-M-I-L-A persone che hanno fatto un gesto – che non è soltanto mettere una firma finta  – No è una cosa Certificata. Se poi non va in porto i soldi verranno restituiti perché: tutto il denaro che viene donato, sta in un conto virtuale e sono freezzati. Soltanto nel momento in cui viene, diciamo finisce la campagna possono essere utilizzati, okay?
Quindi, chiunque fa la donazione è certificato, nel senso: se non va in porto gli vengono restituiti. È pulita questa cosa e funziona così.

Dettaglio. Studio di JAGO (Anagni).

L’arte pagata prima di essere realizzata, può distruggerne l’apollineo valore ispiratore, cioè: scolpisco per i soldi e non per amore dell’arte?
 Beh e comunque sia io per scolpire devo paga’ un affitto, guarda qua ci stanno: delle luci, un affitto eh, cioè è paradossale ma cioè tutti quanti hanno bisogno di denaro. Se io scelgo e capisco che il mio modo di essere felice e stare al mondo e fare scultura, devo creare le condizioni ambientali ideali per potermi sostenere o per poter sostenere il mio gesto a quel livello. Se io voglio fare un’opera grande – non il livello qualitativo – come “La Pietà”, io devo avere: un carro ponte, devo riuscire ad andare in cava, devo ave’ un aspiratore, devo avere tutta una serie di cose, la capacità economica per sostenermi, perché? Perché non esiste più il Papa che viene da te e ti dice: “Oh famme ‘La Pietà’ perché la devo mettere a San Pietro”. Non c’è più. Il Papa c’ha la spending review, dice: “No io devo dare un’immagine di me che è l’immagine di San Francesco, che si spoglia di tutto e che non spende i soldi pe fa quello”. Basta questo è il fatto!
Voi pensate – è un fatto, fa ridere – ma le opere più importanti sono state fatte durante le dittature, perché? Perché c’era l’idea di voler dare un’immagine magnifica del potenziale. È così, è un fatto. Quindi se non stai in un’epoca, se sei nato in un’epoca in cui non esistono più gli investitori di una volta, che vogliono veramente rimanere eterni o restituire qualcosa, perché la Nostra Italia è stata fatta da pochi privati, non dalla politica, è stata fatta da pochi privati è così; che avevano la capacità e il desiderio di investire, di dare una nuova immagine, di lasciare qualcosa. Quindi se tu non trovi ‘ste persone ti devi inventare un modo e il mio modo è quello di: utilizzare il social, è un esperimento, se ci riusciremo avremo fatto qualcosa di grande, di importante per la comunità, altrimenti andrà bene lo stesso. Io andrò avanti, non è un problema, son felice, capito? Faccio degli esperimenti, chi critica c’ha tempo per farlo!

Credi che nella società 4.0 della condivisione, coprire l’emittente del messaggio (il figlio) con un velo non spezza il valore della contemporaneità dell’opera?
Perché scusa? Io ti do un’immagine… e poi tra l’altro questo lavoro, io l’ho scolpito prima in diretta, in argilla e ho scolpito il sotto; cioè io ho scolpito il bambino prima, in diretta – e ci sono pure i video, chi ha partecipato se lo ricorderà – io ho scolpito il bambino, ci sono le foto su Facebook, della scultura che sta sotto il velo. Io ho mostrato cosa avrei coperto, basta.

Fotografie della scultura del bambino in argilla, dalla pagina FB ufficiale di JAGO.

Ho avuto il piacere e l’onore di intervistare una persona prima che un artista. Così genuino, umile ma con una potenza comunicativa patemica, come le sue mani: semplici all’apparenza ma in grado di creare opere di una grandezza incredibile che ho avuto la fortuna di vedere personalmente. Quindi, se vuoi che il tuo nome o quello di una persona a te cara venga inciso per sempre sul basamento della sua futura opera, contribuisci.

Bastano solo 10 euro. In questo modo l’opera di JAGO sarà di tutti: non più, come un tempo, destinata a un privato o a un qualsiasi committente, ma donata a un museo perché tutti possano ammirarla liberamente. Più alto sarà il contributo, più “succulenta” sarà la contropartita per i finanziatori-realizzatori della prima opera collettiva di Jago: si potrà avere la cartolina con i ringraziamenti personali dell’artista, oppure ricevere l’invito ufficiale alla presentazione dell’opera in Italia (riservato ai sostenitori della campagna di crowdfunding) e incontrare Jago, oppure avere su carta fotografica il disegno preparatorio dell’opera entrando così direttamente nel laboratorio dell’artista. Non resta che dare le ali alla fantasia. Per farlo basta, ovviamente, soltanto un click: www.eppela.com/jago

Inoltre, trovi l’intervista completa sulla pagina FB di JAGOhttps://www.facebook.com/jagosound/videos/1238617622941503/

Sull’Autore

Ho 22 anni, laureato in Comunicazione, tecnologie e culture digitali e sono direttore di MdC, nonché caporedattore della sezione Intrattenimento. Attualmente vivo a Roma. Cerco la precisione in ogni dove perché per me sono i dettagli che fanno la differenza. Dal 2017 parlo con artisti di ogni tipo: da JAGO a Dutch Nazari, le interviste le trovate tutte qui. Ho un blog: salvostuto.net

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