Disjointed è stata una delusione

Disjointed, sit-com ideata da Chuck Lorre e prodotta da Netflix, parte bene. Poi sprofonda.

Kathy Bates gestisce un negozio di articoli per l’assunzione di cannabis. In questa frase c’era tutto ciò che mi serviva per invogliarmi a guardare Disjointed: la mia attrice preferita e la mia attività preferita.
(Mi riferisco alla gestione di un negozio, ovviamente!)
A ciò si aggiunge il creatore di The Big Bang Theory, una serie che sta invecchiando male, ma che resta sicuramente amata da molti. Nonostante questi elementi, e nonostante abbia diversi altri punti a suo favore, questa nuova sit-com mi ha lasciato indifferente.

La prima parte della prima stagione è stata pubblicata su Netflix ad Agosto 2017. A colpire sono subito alcune trovate estetiche interessanti, come l’utilizzo di YouTube, riprese “amatoriali” con il cellulare e bellissime sequenze animate ricorrenti. Inoltre, le storyline di molti personaggi risultano interessanti e sorprendentemente profonde, prima tra tutte quella di Carter, interpretato dal comico Tone Bell.

Tone Bell in Disjointed

Tone Bell interpreta un reduce dell’Iraq affetto da DPTS

L’umorismo della serie si regge sui classici stereotipi sull’uso e abuso di marijuana: risate incontrollate, logorrea, pigrizia, ecc. È apprezzabile la critica degli autori alla cultura dello sballo senza “se” né “ma”, qui rappresentata dalla coppia di “fattoni” Dank e Dabby, spalle comiche esilaranti. Ma anche la comicità dello show diventa presto posticcia e nella seconda parte preme troppo il pedale dell’assurdo.

Dopo un finale di metà stagione che lasciava spazio a interessanti sviluppi futuri, Disjointed ha fatto sette passi indietro, omologandosi a qualsiasi altra sit-com.

Probabilmente uno o due episodi sono andati perduti. Non scherzo: tra gli episodi 10 e 11 manca letteralmente un pezzo di storia, che viene riempito con un subdolo “spiegone”, peraltro fatto male. Da quel momento in poi, la serie prende una piega diversa e diventa il classico prodotto per famiglie. Tutti gli argomenti addotti in favore dell’uso di marijuana a scopo terapeutico spariscono; tutti i lati positivi del suo uso a scopo ludico vengono snaturati, in favore di una sua semplicistica riduzione a svago per i tossici.

Un vero peccato, se si considera che l’argomento alla base è ancora poco affrontato nella serialità, con un capostipite non molto efficace. A completare il tutto, una sotto-trama pseudo-romantica inizialmente molto interessante, ma che viene ben presto liquidata con un insieme di triti stereotipi che culminano in un finale da favoletta Disney agrodolce. Come se non bastasse, nulla che non sia già stato proposto, con risultati ben più soddisfacenti, nei gloriosi anni di Dr. House.

Kathy Bates in Disjointed

Non mancano, tuttavia, elementi che rendono Disjointed una serie godibile. Oltre al già citato Tone Bell, infatti, la stessa Kathy Bates regala un’interpretazione notevole: il suo personaggio non è assolutamente nuovo, ma il contesto in cui si trova lascia spazio a diverse riflessioni per niente scontate. Inoltre, e scusate se è poco, è l’unica a essere credibile nel ruolo di “sballata”.

In breve: non si sentiva particolarmente bisogno di un’altra sit-com canonica; non si sa se e come andrà avanti, ma ad ogni modo è consigliabile a chiunque voglia svagarsi per qualche oretta. Magari accompagnando la visione con un bel sandwich.

Sull’Autore

Esisto dal 1993 e già mi sono stancato. Sono nato a Roma, ho studiato al DAMS di Roma Tre e nel tempo libero (cioè sempre) scrivo e guardo film o serie TV. Sarei anche uno stand-up comedian, ma molti dissentono da questa affermazione.

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