Se esiste una tendenza della politica economica italiana (oserei dire della politica italiana in senso lato) è quella insopprimibile inclinazione a ricercare soluzioni semplici a problemi complessi, il tutto condito con le corse affannate del legislatore, nel tentativo spasmodico di rinviare, rattoppare, rimandare in un circolo perverso di decreti legge d’urgenza, procrastinazione cronica da “mille proroghe”, superfetazione di bonus e interventi una tantum. È proprio il caso dello sgravio contributivo.
Questo affanno endemico sottende uno dei problemi fondamentali delle politiche dell’ultimo trentennio (!): l’incapacità di realizzare le tante agognate e discusse riforme strutturali di cui tutti parlano e che tutti attendono come spettatori di una assurda pièce di beckettiana memoria.
Ecco allora che in questo contesto, di fronte alle difficoltà del mercato del lavoro giovanile, con un calo a luglio 2017 di 8 mila unità nella fascia 25-34 anni e un tasso di disoccupazione giovanile tornato a crescere al 35,5% secondo le ultime rilevazioni ISTAT che ci pone dietro soltanto a Spagna (38,6%) e Grecia (44,4%), ritorna in àuge – ancora una volta – il deus ex machina di tutti i mali del mercato del lavoro italiano: Sua Maestà lo sgravio contributivo.Il governo lavora a uno sgravio pari al 50% dei contributi previdenziali rivolto alle assunzioni di giovani di età compresa tra i 29 ed i 32 anni per una durata di almeno 2 anni e con un coinvolgimento di risorse che dovrebbe attestarsi attorno ai 2 miliardi di euro. L’elettore medio di fronte all’annuncio potrebbe pensare: “Ottimo!” ma mettiamo da parte i sensazionalismi da campagna elettorale e ragioniamo sulla possibile misura utilizzando una duplice matrice: quella dell’efficienza e quella dell’efficacia dell’intervento.
Efficienza
Per efficienza si indica la capacità di conseguire un determinato obiettivo attraverso una allocazione minima delle risorse. Misure di questo tipo non solo creano distorsioni mediante l’“effetto annuncio” ritardando le scelte degli operatori economici, ma soprattutto producono una marginalizzazione di altri strumenti giuridici che sarebbero molto più idonei al conseguimento dell’obiettivo desiderato. Sembra infatti sconosciuto ai più uno strumento già esistente – il contratto di apprendistato professionalizzante – che, senza l’utilizzo di ulteriori risorse finanziarie, dovrebbe rappresentare la corsia preferenziale di accesso al mondo del lavoro degli under 29, tramite una formazione erogata dagli enti pubblici e in azienda, e che consente una riduzione dei contributi aziendali di circa due terzi. Non solo, il D.lgs. 81/2015 (uno dei decreti attuativi del Jobs Act) aveva già previsto la possibilità di adoperare il contratto di apprendistato professionalizzante anche per gli over 29 percettori di indennità di disoccupazione (c.d. NASPI) al fine di garantirne la riqualificazione nel ciclo produttivo.
Come è possibile notare dal grafico, nell’ultimo biennio il contratto di apprendistato ha avuto un’incidenza sul mercato del lavoro italiano pari a un encefalogramma piatto! Il neo bonus contributivo gli darà l’ultimo colpo di grazia: per quale motivo – infatti – un’azienda dovrebbe scegliere uno strumento come l’apprendistato rispetto al bonus contributivo che ceteris paribus (a parità di risparmio) la “obbliga” a investire nella formazione del neo e giovane assunto?
Da notare, inoltre, l’andamento delle attivazioni dei contratti a tempo indeterminato e determinato (sulle quali torneremo a breve).
Variazione tendenziale dei rapporti di lavoro attivati/variati. Fonte: Osservatorio sul precariato INPS.
Ora, ritornando al quesito principale, gli sgravi contributivi per i giovani sono efficienti?
Alla luce di quanto detto è lapalissiano: NO!
L’obiettivo può essere conseguito senza risorse aggiuntive tramite uno strumento (l’apprendistato) già disponibile e pronto all’uso. Le risorse potrebbero essere adoperate per migliorare e finanziare – invece – la formazione offerta dalle Regioni e dalle aziende agli apprendisti.
Efficacia
Per efficacia si intende la capacità di raggiungere l’obiettivo prefissato. Se verifichiamo gli effetti sortiti dalla precedente serie di sgravi contributivi che hanno caratterizzato, a partire dal 2015, l’introduzione del Jobs Act al fine di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato i dati sono sconfortanti. Le aziende dopo aver “acciuffato” lo sgravio nel 2015, non hanno continuato ad assumere con contratti a tempo indeterminato di fronte a scenari macro-economici ancora incerti.Percentuale dei nuovi rapporti di lavoro attivati/variati a tempo indeterminato sul totale dei rapporti attivati/variati nel periodo gennaio-giugno degli anni 2015, 2016 e 2017. Fonte: Osservatorio sul precariato INPS.
Come evidenziato qui dall’Osservatorio sul precariato INPS nei primi sei mesi del 2017, il saldo positivo tra assunzioni e cessazioni è principalmente dovuto all’aumento dei contratti a tempo determinato (+ 477 mila). Le risorse sprecate in questo triennio si sarebbero potute adoperare per una riduzione strutturale del cuneo fiscale.
Ci ritroviamo, invece, ad aspettare ancora Godot con la prossima campagna elettorale.