Chi mi segue da un po’ sa come io sia critico verso gli economisti euroscettici. Vi ricordate Bagnai, ti va un po’ di Brexit, solo io e te? Questo articolo mi aveva dato la possibilità di esprimermi nei confronti di un personaggio scottante qual è l’economista Alberto Bagnai. Già all’epoca non ci ero andato leggero (soprattutto con i Bagnai boys) e men che meno nel mio articolo Svalutazione e inflazione: il giallo euroscettico, in cui smontavo anche le posizioni dell’economista (?????) Antonio Rinaldi. Eppure, nonostante io trovi molti dibattiti al limite del ridicolo, quando l’argomento viene trattato in maniera approfondita anche da parte di economisti euroscettici, perché non parlarne?
La performance dell’eurozona è stata deludente rispetto non solo agli altri Paesi aderenti all’UE, ma anche al resto del mondo. L’appartenenza di Paesi strutturalmente diversi a un’area monetaria non ottimale e in assenza di meccanismi di aggiustamento a livello federale ha favorito la divergenza tra i cicli economici tra i suoi Paesi membri minando la sua resistenza.
La critica di BGMO è altamente distruttiva nei confronti dell’euro poiché, a parere degli autori, l’unione monetaria ha colpito anche la produttività, in quanto la diminuzione dei tassi di interesse reali ha causato distorsioni allocative che hanno minato la produttività del lavoro. Inoltre i bassi pagamenti di interessi ha fornito incentivi perversi di politica fiscale.
Continuando la disanima di BGMO, poiché in un’unione monetaria il compito di adeguamento della competitività e dei prezzi relativi viene trasferito sul mercato del lavoro, la moneta unica stessa tende a negare ai propri utenti i vantaggi di un mercato comune. Le politiche di svalutazione interna hanno perciò avuto un impatto negativo sui sistemi bancari di diversi paesi periferici contribuendo a un aumento dei crediti in sofferenza.
Il modello econometrico utilizzato in questo articolo (ovvero il macromodello dell’associazione a/simmetrie) identifica i seguenti quattro canali di potenziale incertezza:
1) le relazioni commerciali permettono di analizzare i riallineamenti della nuova valuta italiana rispetto alle valute dei suoi principali partner commerciali (come già fatto in questo paper);
2) la diffusione del debito sovrano è legata ai fondamentali macroeconomici;
3) il modello considera i possibili effetti su alcune categorie di agenti a causa dell’esposizione dei contratti soggetti al diritto straniero e regolamentati in valute estere; infine le simulazioni controllano la possibilità di una crisi bancaria.
Si introduce inoltre la possibilità di introdurre misure anticicliche per contrastare l’eventuale impatto recessivo della svalutazione, sfruttando lo spazio fisico aperto dalla riallineamento nominale. Il mix politico è definito come: 1) un aumento di un punto percentuale dell’occupazione pubblica, ogni anno, che raggiunga il 5%; 2) un aumento permanente dell’investimento pubblico nominale pari al 5% del valore di base; 3) un aumento del 5% del salario pubblico.
La prima grande conseguenza del ritiro da un’unione monetaria sarebbe il riallineamento della nuova moneta nazionale in modo da compensare la perdita di competitività. Le conseguenze del riallineamento dipendono dalla sua dimensione. Secondo le stime il riallineamento sarebbe dell’ordine del 4%-7%. Eppure tali misure considerano il tasso di cambio reale effettivo, non quello bilaterale con i singoli partner. I disallineamenti medi stimati, utilizzati nel nostro scenario contrastato, sono i seguenti: sopravvalutazione del 24% rispetto al core dell’area euro; sottovalutazione del 28% rispetto alla periferia dell’eurozona; sopravvalutazione dell’8% rispetto ad altri paesi europei; una sopravvalutazione del 12% rispetto al dollaro statunitense.
Riprendendo alcuni studi recenti, BGOM pongono gli effetti sul rendimento dei titoli di Stato in base a tre valori dei fondamentali macroeconomici: tasso di crescita reale, rapporto debito/PIL e il rapporto tra bilancio statale e il PIL. Per quanto riguarda gli effetti della svalutazione è noto che, una volta che la svalutazione supera una determinata soglia, l’effetto positivo del commercio sulla crescita sia più che compensato dagli effetti negativi delle sofferenze finanziaria degli agenti nazionali debitori in valuta estera o in contratti regolati dalla legge straniera (di cui ci eravamo già occupati) le quali non sarebbero ridenominate in valuta estera (comprese le passività della Banca d’Italia espressa sul TARGET2).
In Italia i titoli di debito denominate in euro (sotto legge sia estera che domestica) sono il 95% dei titoli in circolazione. Stando però a quanto sostengono BGOM, solo una piccola parte (5%) delle obbligazioni emesse in euro è regolata dalla legge straniera. Considerando anche i titoli sovrani non denominati in euro, la quota di titoli sovrani sotto la legge straniera è del 7% (contro una media dell’eurozona del 9%). D’altra parte, la quota di obbligazioni private di diritto straniero è del 53%. Mettendo insieme questi numeri, una percentuale complessiva del 24% dei contratti sovrani e privati è regolata dalla legge straniera. Con l’aggiunta di passività legate al prestito, le passività lorde per l’economia italiana sono pari al 49% del PIL.
Passo ora alle conclusioni del modello di BGMO. Mentre un riallineamento del tasso di cambio nominale di per sé non porterebbe a vantaggi statisticamente significativi in termini di crescita nel medio periodo, questi aprirebbero maggiori spazi fiscali, riportando la crescita coerente col valore di lungo periodo entro il 2020, cinque anni prima di quanto stabilito dal FMI. Introducendo la politica economica espansiva, il riallineamento contribuirebbe a un significativo aumento della produzione e dell’occupazione e quindi a un efficace consolidamento fiscale. Inoltre, tenendo conto di alcune importanti fonti di stress macroeconomico, la simulazione propone che si verifichi un riallineamento nominale della neo valuta in circa un anno, lasciando quindi stabili i tassi di cambio nominali. Uno scenario più realistico considererebbe il passaggio a un diverso sistema monetario, come un regime di target zone.
I risultati delle simulazioni mostrano come i costi a breve termine della rottura, pur non trascurabili, siano gestibili e, in caso di interventi attivi, i vantaggi di un orizzonte quinquennale sarebbero sostanziali, soprattutto in uno scenario deflazionistico. Insomma, nonostante non sia una panacea, secondo BGMO, il ritorno a una moneta nazionale potrebbe mostrarsi non solo una condizione necessaria, ma anche sufficiente. Un interessante approccio, non c’è che dire. No, non sono passato al lato oscuro degli economisti euroscettici. È giusto a volte, riprendere anche le opinioni diverse dalle proprie e trattarle come proprie. Finché c’è dubbio, c’è speranza.