Eurexit e il rischio di debito: alcuni modelli

È uscito, alcun giorni fa, un articolo su Keynesblog il quale commentava un working paper dell’OFCE  sugli effetti dell’uscita dall’euro sugli stati patrimoniali degli agenti economici dell’eurozona. In realtà sia il paper che gli stessi gruppi euroscettici che hanno condiviso questo documento sono caduti in contraddizioni fatali (come Keynesblog stesso sottolinea). Addirittura si sosterrebbe una rivalutazione della neo valuta per evitare effetti sul debito. Tale proposta rimane irrealistica, ma la domanda resta: che succederebbe se, con l’eurexit, una parte dei debiti non potesse essere ridenominata nella nuova valuta, magari perché sotto legislazione estera?

Secondo una delle fonti più citate dagli euroscettici, Leaving the euro: a pratica guide, le economie avanzate che abbiano subito una significativa svalutazione non sono di solito state costrette a fare default sul loro debito. La ragione principale di questo è che le economie avanzate, normalmente, non hanno un significativo debito denominato in valuta estera. In questi casi, qualsiasi movimento del tasso di cambio non ha alcun impatto diretto sulla rapporto  debito/PIL o di entrate pubbliche. Dopo aver lasciato la zona euro, tutti i Paesi periferici possono fare default sul proprio debito sovrano semplicemente dichiarando una moratoria, vale a dire porre fine ai pagamenti contrattuali su capitale e cedole.

Questa opinione non è universalmente condivisa. Vi riassumerò qui due paper elaborati da tre economisti tedeschi  Kriwoluzky, Müller e Wolf (d’ora in poi KMW) intitolati Exit and default premia in currency unions(2014) e  Exit Expectations and Debt Crises in Currency Unions (2015). Daremo una spiegazione contrapposta alla teoria dell’inesistenza del rischio sul debito in caso di eurexit. La teoria di KMW si rifà al ruolo delle unioni monetarie come mezzo per il raggiungimento di credibilità antinflazionistica e il contenimento dell’ammortamento  del debito pubblico.

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Se questo fosse vero, sarebbe dimostrato anche il contrario, ovvero il caso in cui la possibilità di un’uscita dall’euro causerebbe un aumento dei rendimenti sui titoli di debito dei Paesi, i quali dovrebbero essere convertiti in una nuova valuta deprezzata. Il meccanismo si presenta in tal modo: partendo dal fatto che il Paese non riesca (inizialmente) a pagare i debiti in ogni Stato del mondo, comincia a profilarsi in default sovrano e lo Stato sperimenta una crisi di debito, un circolo vizioso tra aumento del debito e crescenti rendimenti.

Ma, mentre nel caso di un’unione monetaria, i debiti sono contratti nella stessa valuta sia sui mercati esteri che su quello interno (nonostante la crisi dell’eurozona del 2010 sia stata causata proprio dalla vendita dei titoli in euro dalle banche di Paesi aderenti all’eurozona), quando l’economia interna funziona secondo la propria politica monetaria, le attività emesse ai sensi del diritto nazionale (estero) sono denominate in valuta nazionale (straniera). Allo stesso modo, se l’eurexit fosse possibile, la legge in base alla quale sono emessi non può essere ignorata e la valuta in cui debbono essere pagati è subordinata al fatto che l’economia continui a far parte o meno della unione monetaria.

Esiste quindi la possibilità che il Paese possa uscire dall’unione monetaria in qualsiasi momento e convertire così i titoli al valore nominale in una nuova moneta. I partecipanti al mercato sono consapevoli di questa possibilità e chiedono un premio di ridenominazione poiché si aspettano il deprezzamento della nuova moneta. Maggiore è il deprezzamento atteso dopo l’uscita, più grave sarà la crisi del debito sovrano.  Nel caso in cui gli investitori subissero perdite proporzionali al debito pubblico, il premio d’uscita aumenterebbe, perché il Paese adotta un mix di politiche inflazionistica dopo l’uscita. In particolare, la politica monetaria indipendente regola i tassi di interesse permettendo una rivalutazione del debito pubblico. Allo stesso tempo, la politica fiscale si ferma regolando le tasse per lo stock di debito pubblico. Di conseguenza, il tasso di cambio nominale si deprezza in caso di uscita in proporzione con il livello del debito pubblico.

Quale effetto si verificherebbe sui titoli di debito in caso di uscita? Ponendo che i prezzi siano flessibili sia nel caso del mantenimento dell’Unione che in caso di uscita, il debito pubblico e il deficit (nel caso in cui questo si manifesti nella dimensione dell’1% dell’output di stato stazionario), non influenzerebbero le variabili in termini reali, nonostante un indebolimento della finanza pubblica. Per vedere questo, gli  autori partono dalla constatazione che i tassi di interesse riflettano le aspettative di politiche future attraverso una versione della condizione di parità scoperta dei tassi d’interesse  (UIP).

In caso di uscita dall’Unione monetaria (e successivo deprezzamento) il tasso d’interesse riflette lo spread tra il tasso di sconto mono periodale sui bond emessi sotto legge nazionale, i quali saranno pagati con un’unità di valuta comune (in caso di mantenimento dell’unione) o un’unità di nuova moneta in caso di uscita e, d’altra parte, i bond emessi sotto legge estera, i quali dovranno essere pagati con un’unità di valuta comune.  I prezzi dei bond emessi sotto legislazione nazionale sono ugualmente soggetti a spillover del rischio di default sovrano. La condizione di UIP regola l’attività di arbitraggio.

Il modello tratta un secondo pericolo, il default parziale sul debito pubblico all’interno di un’unione monetaria. In questo caso, le dinamiche negative di una crisi del debito sovrano possono intensificarsi in presenza di aspettative di uscita.

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                                                     Effetti del default sul debito e dell’uscita dall’Unione monetaria sulle variabili reali.

Come riassumere il pensiero di KMW? In entrambi i modelli,  le aspettative di uscita danneggiano la stabilità macroeconomica e aggravano ulteriormente la crisi di debito sovrano.  Come risultato, la crisi del debito si intensifica in presenza di aspettative di uscita in due modi: in primo luogo, le aspettative di uscita rafforzano la dinamica sfavorevole del debito attraverso il loro impatto sui rendimenti; in secondo luogo, le aspettative di uscita rendono il debito pubblico e deficit responsabili di effetti di stagflazione. Inoltre, secondo quanto riportato in KMW 2014, un’uscita causerebbe un peggioramento anche nelle esportazioni nette/PIL e, a parte un risultato diverso nel modello del 2014 circa il differenziale di rendimento delle attività dei privati, tutte le altre simulazioni sono confermate.

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Esiste poi un ultimo problema: il rischio di aumento dell’ERPT (il grado di trasferimento della variazione del tasso di cambio sul tasso d’inflazione) causato dalla crisi di debito. Infatti, sostengono Cheikh e Rault(2015), la decisione dell’esportatore sulla misura in cui il movimento dei tassi di cambio dovrebbe trasmettersi ai prezzi può dipendere dalle percezioni circa la stabilità macroeconomica del Paese importatore. Quando l’economia si trova di fronte una crisi, le imprese straniere possono decidere di trasferire una quota maggiore delle variazioni dei tassi di cambio in vista della maggiore probabilità di default dell’importatore. In questo caso, l’ERPT è maggiore poiché gli esportatori tendono a fissare i prezzi nella propria valuta. Tuttavia le imprese esportatrici, quando si considerano le condizioni macroeconomiche come favorevoli, assorbono le fluttuazioni valutarie all’interno di mark up e fissano i prezzi nella valuta del Paese importatore. Dunque si prevede che l’ERPT sia più elevato in tempi di crisi di fiducia piuttosto che in periodi di stabilità macroeconomica.
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Insomma, l’eurexit non sembra tutta questa magia, no? Ah sì, scusate… sono io ad essere un euroidiota. 

Sull’Autore

Classe 1993, vengo da Finale Ligure (SV) e sono caporedattore della sezione "Economia politica e attualità". Mi sono laureato in Scienze internazionali e diplomatiche a Genova con una tesi in economia internazionale sulla Single Euro Payments Area (SEPA). Il mio interesse per l'economia nasce dal corso di Economia politica del primo anno (odiato dal 90% degli studenti, compreso chi lo ha già passato). I miei principali interessi riguardano la diffusione della teoria economica (in particolare dell'economia monetaria e dei modelli di crescita) e lo studio di modelli macroeconomici (che, a volte, traduco e/o riassumo su questa piattaforma). Collaboro con MdC per la rubrica "Europa for dummies" e sulle questioni relative a "democrazia-populismo-popolo del web".

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