[Leggi qua l’inchiesta completa]
Uno strumento che sempre da la stessa nota: $$$$.
Premetto che di questo argomento il nostro blog se ne era già occupato alcuni mesi fa in un articolo Andrea Intonti (linkato nelle fonti alla fine dell’articolo). Quindi tenterò di “aggiornarne” i contenuti attraverso le discussioni emerse in questi mesi (come quella apertasi in Parlamento negli scorsi giorni a seguito della relazione sull’export di armi dell’UE).

“We could have done better had only spent more, too bad that only happend when there’s a world war.”
Al di là del proprio pensiero, la guerra rappresenta un business da miliardi, soprattutto nei paesi dove i gruppi di interesse sembrano essere più forti (come gli USA). E l’Italia? Quella che ripudia la guerra (come strumento di offesa e per la risoluzione di controversie internazionali)? Quella che manifestava per la base di Vicenza nel 2007? Quella contro ogni operazione di peacekeeping intraprese da ONU e NATO nei Balcani? Quella Italia è forse morta? Tutt’altro. In questi anni più volte si è posta l’attenzione sulla spesa pubblica usata per la difesa, soprattutto in un paese dove sono frequenti i tagli a sanità ed istruzione per trasferire le risorse ad altre realtà della contabilità statale (nonostante lo stesso comparto militare sia stato più volte toccato dai tagli).
Ma in tutto questo, qual è il ruolo giocato dal comparto industriale e militare italiano? Come è composto il commercio estero italiano ed europeo in termini di merce ad uso militare? Innanzitutto e d’uopo ricordare che il commercio di armi sia severamente regolamentato, anche per i beni aventi potenzialmente un uso militare. In questo senso, l’Italia è soggetta a due normative sovranazionali: quella UE (nell’ambito della PESC) e dell’ONU (per quanto riguarda il trattato di non proliferazione delle armi). In quest’ultimo caso, la limitazione è data ove “vi sia il rischio di uso in zone ove questo potrebbe ledere i principi di libertà”. Lo so, sembra inutile la redazione di un simile trattato, ma il genere umano è stupido.
Per quanto riguarda l’UE, il controllo è adottato da parte della PESC attraverso atti di ministri nazionali. Ogni anno, infatti, il Consiglio dell’UE redige un documento in base ai criteri stabiliti dalla Posizione Comune 2008/944/PESC Del Consiglio dell’8 Dicembre 2008 che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari. Da questo scaturisce la “Relazione annuale sul controllo delle esportazioni di tecnologie e attrezzature militari”. I criteri stabiliti sono otto:
1. Rispetto degli obblighi e degli impegni internazionali degli Stati membri degli accordi concernente la non proliferazione;
2. Rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e rispetto del diritto internazionale umanitario da parte del detto paese;
3. Situazione interna del paese finale (presenza di tensioni e conflitti armati);
4. Mantenimento della pace, della sicurezza e della stabilità nella regione. Gli Stati membri rifiutano licenze di esportazione qualora esista un rischio evidente che il destinatario utilizzi la tecnologia o le attrezzature militari a fini di aggressione contro un altro paese;
5. Sicurezza nazionale degli Stati membri e dei territori le cui relazioni esterne rientrano nella competenza di uno Stato membro;
6. Comportamento del paese acquirente nei confronti della comunità internazionale, segnatamente per quanto riguarda la sua posizione in materia di terrorismo, la natura delle sue alleanze e il rispetto del diritto internazionale;
7. Esistenza del rischio di una triangolazione della tecnologia militare da parte del paese importatore (riesportare a condizioni non ammissibili) o sviate all’interno del paese;
8. Compatibilità delle esportazioni di tecnologia militare con la capacità economica del paese destinatario.
Ora passiamo a definire l’argomento vero e proprio. Da un po’ di tempo (prima dell’attentato di Parigi) si discute su un punto importante: l’Italia, vendendo armi a gli “amici” dell’ISIS, sta dunque finanziando una delle più grandi minacce degli ultimi anni?
Partiamo da alcune stime recenti. In questa lunga fase di crisi soprattutto delle esportazioni, l’industria italiana delle armi è una delle poche a reggere bene la botta senza subire sostanziali effetti recessivi. Il valore globale delle licenze di esportazione definitiva dell’industria bellica italiana nel 2014 è quantificato in 2.650.898.056 euro, con un incremento del 23,3% rispetto al 2013, quando l’export si era fermato a 2 miliardi 149 milioni di euro, in flessione (-48,55%) rispetto al 2012.
La situazione, rispetto al quinquennio prima analizzato, tende a modificarsi radicalmente nel quinquennio 2010-2014. Per zone geopolitiche, le autorizzazioni verso l’Unione Europea passano dal 36,4% del periodo 2004-2009 al 24,5%. Al contrario, aumentano sensibilmente le autorizzazioni all’esportazione verso il Medio Oriente e il Nord Africa, arrivate al 35,5%. Contemporaneamente, le autorizzazioni crescono anche verso l’Asia (16,2%) e l’America Latina (5,2%).
Nello specifico dei paesi, anche in questo caso tra il 2010 e il 2014, si notano alcune differenze. Al primo posto, ad esempio, si attesta l’Algeria (1,4 miliardi di euro), seguita a ruota dall’Arabia Saudita (1,2 miliardi di euro), dagli USA e dagli Emirati Arabi Uniti. Giorgio Beretta, dell’OPAL Brescia, afferma che dal 2009 ad oggi l’Italia “ha venduto armi soprattutto in Medio Oriente e nel Nord Africa, regioni tra le più turbolente”. Non è un caso, infatti, che siano aumentate le esportazioni tanto in Arabia Saudita quanto negli Emirati Arabi Uniti (entrambe monarchie totalitarie e certamente poco affini ai diritti umani), senza dimenticare l’Egitto, la Libia e la Siria, la Turchia, il Ciad, l’Eritrea e la Nigeria. E ancora, guardando all’incremento nella zona geopolitica dell’Asia, in Kazakistan, Turkmenistan, India e Pakistan.
In un tale quadro, dice Francesco Vignarca di Rete Disarmo, “non possiamo lamentarci che il Mediterraneo e il Medio Oriente siano una polveriera di conflitti quando siamo anche noi responsabili di molte delle forniture di armi, vera benzina che poi va alimentare il fuoco delle guerre”. I flussi di esportazione italiana, ha spiegato Elisangela Annunziato – ricercatrice dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo – si sono orientati in particolare verso l’Europa e i paesi NATO (dal 48,5% del 2013 al 55,7% del 2014) e, in minor misura, verso l’Africa Settentrionale e il Vicino e Medio Oriente (28%). E che una parte di quelle armi, il 23%, sono state acquistate da “Arabia Saudita e Oman, paesi vicini all’area critica dell’Iraq e Siria” (e al Daesh).
Sono, invece, stabili rispetto al 2013 i volumi verso l’Asia, mentre fanno registrare “un incremento i flussi diretti verso l’America Centro Meridionale (dal 4,2% nel 2013 al 5,9% nel 2014), dovuti alle movimentazioni verso Perù, Brasile e Messico. Nella fattispecie, la realtà del collegamento tra autorizzazioni di export italiane, nord Africa, Medio Oriente e ISIS, ha portato le fazioni politiche a dividersi ulteriormente. Qualche tempo fa, infatti, Alessandro Di Battista (M5S) ed Ernesto Carbone (PD) si sono scontrati a Porta a Porta su questo legame e sulla poca trasparenza sulla condotta di Renzi in termini di export verso i paesi “amici” dell’ISIS.
Carbone giustificò dicendo che, in realtà, Di Battista avesse mal compreso la vicenda, in quanto non sarebbe né l’Italia, né la Francia, né la Germania o l’Arabia Saudita a decidere l’export di armi, ma l’ONU, in virtù del trattato citato all’inizio. Ma, nonostante sia vero che Di Battista non sembri aver capito appieno la questione ISIS, Carbone non dice il vero, poiché il sistema dell’ONU per quanto riguarda il trattato, benché sia molto limitante e con la presenza di un Segretariato, è definito “non particolarmente intrusivo”. Insomma, l’intervento dell’ONU è relativamente limitato, mentre potrebbe esserlo maggiormente l’intervento della Commissione e della Corte di Giustizia Europea in caso di violazione della direttiva PESC.
Oltre al M5S, ci sono altri partiti politici critici sulla condotta del governo in tema di export verso le zone mediorientali e nord africane, tra cui Sinistra Italiana (composta anche da ex PD). Nell’esposto presentato a Montecitorio, un passaggio centrale è dedicato alla fornitura di armi verso i combattenti jihadisti. Un fenomeno che ci riguarda direttamente. «Negli ultimi anni, mentre il Medioriente bruciava – si legge – contemporaneamente cresceva del 30 per cento l’export di armi verso i Paesi dell’area medio orientale e del Nord Africa». Anche l’Italia ha un ruolo importante. «Dalle relazioni inviate dal governo alle Camere, si evince che nel quinquennio 2010-2014 la meta principale delle nostre armi è stato il Medio Oriente. Cinque miliardi di euro, rispetto ai poco meno di quattro del quinquennio 2005-2009». I parlamentari di Sinistra Italiana spiegano come attraverso la “triangolazione” con paesi alleati, in alcuni casi finanziatori del Daesh, le armi siano finite nelle mani dei terroristi. «E quindi siamo al paradosso – si legge – che combattiamo contro le armi che noi stessi abbiamo venduto in Medio Oriente».
La mozione cita l’Unodc, l’agenzia Onu che si occupa di droga e criminalità. Secondo le stime dell’organizzazione internazionale almeno il 90% dei traffici illegali di armi proviene proprio dal commercio legale. «Frutto della triangolazione o dell’aver armato gruppi che poi cambiano alleanze, come avvenuto in Iraq e Siria». Giustamente, qualcuno dirà “Ma la triangolazione non era proibita dalla normativa europea?”. Corretto. Infatti è uno degli otto requisiti posti dalla normativa PESC. La questione viene risolta da Carlo Tombola, direttore dell’OPAL, il quale afferma che “il meccanismo si è addirittura semplificato con le delocalizzazioni, le reti di intermediazione si estendono e sfuggono alle leggi nazionali più attente. La Beretta ad esempio, tramite la consociata finlandese Sako, commerciava con l’Arabia saudita ma anche l’Ucraina, e fucili Sako sono stati trovati in Iraq e Afghanistan. Poi tramite le due società commerciali che Beretta ha aperto a Istanbul può avvalersi di contatti con altri 40 paesi, con leggi turche, non italiane. Ora l’Italia vuole tornare in forze in Iraq, a Mosul. Enormi partite di armi inviate all’esercito iracheno dopo il ritiro Usa sono finite in mano all’Isis”. “Bisogna dire una verità talmente scomoda e taciuta che sembra sfidare il buonsenso e cioè che il contrabbando, il traffico illecito delle armi, non esiste”, conclude Tombola.
È un curioso aspetto del made in Italy la provincia di Brescia, terra di imprese e leghisti. Il rovescio della medaglia, però, è che quei prodotti vengono venduti con assoluta disinvoltura (anche se ovviamente nel sostanziale rispetto delle leggi e dei trattati internazionali) pure a paesi dove infuriano le guerre e a quelli segnalati da diverse organizzazioni internazionali come Amnesty International, Human Right e Escola de Pau, per le reiterate violazioni dei diritti umani e per situazioni di tensione o di conflitto armato. In pratica è ragionevole supporre che le armi italiane contribuiscano a rendere ancora più aspri e sanguinosi i conflitti in atto.
Tornando alle critiche di SI, “con l’aiuto dei nostri alleati internazionali bisogna interrompere i flussi di finanziamento a Daesh”. Ancora una volta la mozione punta il dito verso i paesi sunniti del Golfo come il Qatar, Arabia Saudita e Kuwait. “Formalmente nostri alleati nella coalizione anti-Daesh” si legge nel documento. E che pure “in maniera più o meno indiretta, hanno finanziato attraverso donazioni i gruppi islamici dell’opposizione siriana,inclusi quelli estremistici come Al Nusra e Daesh”. I terroristi dello Stato islamico possono in parte sostenersi grazie al bottino di guerra degli ultimi anni.
In ultima analisi, i deputati di Sinistra Italiana chiamano in causa anche la Turchia. La permeabilità della frontiera con la Siria, accusano, avrebbe giocato un ruolo fondamentale nel contrabbando di petrolio a basso costo. Una delle principali fonti di finanziamento di Daesh. Richiamano inoltre all’attenzione un comportamento scorretto, dove alla mattina Erdogan è alleato della NATO e la sera bombarda i curdi, nemici giurati del Daesh. Da parte di molte associazione (quali disarmo e OPAL) la condotte del governo resta poco trasparente, soprattutto in ottemperanza alla legge 185/1990, al quale obbliga il Governo e il Parlamento a stendere una relazione circa il commercio di armi da parte del paese.
Scrive Beretta: “Renzi comunque può ancora rimediare inviando alle Camere una Relazione aggiuntiva che permetta ai Parlamentari di sapere per quanti (valore e numero) e quali (sistemi e tipologie) armi e sistemi militari sono state rilasciate dal suo governo autorizzazioni all’esportazione ai vari paesi destinatari e che cosa è stato effettivamente esportato nel 2014 dal nostro paese”.
Come ultimo pensiero, pongo questa immagine, la quale dimostra le relazioni economiche e militari tra i paesi del mondo nel periodo 2010-2014. Lo so, gli analisti vedranno una rete di relazioni militari, ma siamo sicuri che cambiando colori, questa figura non riveli la sua vera natura?
Fonti:
http://www.mangiatoridicervello.com/2015/07/12/italia-guerra-export-armi/
http://ilmanifesto.info/piu-della-triangolazione-ora-si-delocalizza/
http://www.disarmo.org/rete/a/42479.html
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/23/armi-made-in-italy-che-vola-export-per-30-milioni-in-aree-in-guerra-del-nord-africa/1710009/
http://it.ibtimes.com/lexport-delle-armi-italiane-un-giro-daffari-di-90-miliardi-di-euro-1409514
http://www.linkiesta.it/it/article/2015/05/24/litalia-vende-armi-ai-paesi-in-guerra-e-renzi-non-e-trasparente/26033/
Akerman e Larsson Seim ,The global arms trade network 1950–2007, Journal of Comparative Economics 42 (2014) 535–551
Archivio disarmo, SIS n. 9/2015 Le esportazioni di armi italiane nel 2014 di Elisangela Annunziato Settembre 2015
http://www.sbilanciamoci.org/wp-content/uploads/2012/06/economia_a_mano_armata_web.pdf
OPAL, La pace oltre le armi. Produzione ed esportazione delle armi, riconversione, educazione alla pace. EMI, Bologna, 2011.
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