Amo la scrittura e probabilmente è l’unica qualità che mi sia stata affibbiata. Non sarebbe dunque stato insolito il passaggio da “amante della scrittura” ad “aspirante scribacchino professionista” (leggasi “giornalista”). Per tanti è così, per me invece no. Ho sempre schifato questa categoria professionale. Nello specifico la mia repulsione si concretizza verso il giornalismo di cronaca. E negli ultimi giorni credo questo mio intimo rigurgito sia tornato ancor più forte e deciso. Tranne pochi casi (Enrico Mentana ad esempio) sappiamo che il giornalismo italico versa nelle più squallide condizioni. Leccaculismo diffuso, assenza totale di spirito critico, incapacità di realizzare una “cronaca” con la C maiuscola. Ma, si sa, ormai siamo nell’era dell’infotainment.
Ed il web, coi suoi ritmi serrati, la viralità come benzina, e un pubblico idiota come base fruente, non ha potuto che alimentare questa ibridazione tra giornalismo e intrattenimento di bassa, bassissima lega. “Sono i tempi che cambiano” si potrebbe dire. Certamente. Però c’è qualcosa che davvero non riesco a digerire, di tutto questo. Ed è quella spettacolarizzazione del macabro e la prostituzione dei sentimenti che riduce il tutto ad un misero circo degli orrori.
Non sono pochi i casi di cronaca nei quali il giornalismo funge da pusher verso la folla coi forconi. Rabbia, indignazione, disgusto, vendono più di qualsiasi altra cosa. Sono un “ti piace vincere facile” di cui il giornalismo italiano abusa ormai troppo spesso. E lo fa senza il minimo rispetto per chi è morto e non può più parlare. Bambini, donne, anziani, vittime la prima volta del proprio cernefice e poi per la seconda volta, col cadavere ancora caldo, vittime di un ignobile stupro mediatico. Come nel caso del piccolo Loris Stival, bimbo di appena otto anni, oppure Denise Pipitone, bimba scomparsa anni fa e mai ritrovata, o ancora con l’omocidio della giovanissima Sarah Scazzi.Senza il benché minimo rispetto per la dignità umana e tantomeno per ciò che il Diritto dell’Informazione e il codice deontologico dell’Ordine dei Giornalisti esplica a chiare lettere (senza mai impegnarsi però a far rispettare). E il rispetto non viene dato neanche alle persone che per questi crimini vengono indagate (come ad esempio Stefano Bossetti nel caso di omocidio di Yara Gambirasio) scordando sempre il principio di presunzione di innocenza, ossia che “un imputato è considerato non colpevole sino a che non sia provato con certezza il contrario”. E possiamo anche citare il caso recente di Angelino Alfano (Ministro dell’Interno) che addirittura, in un’abile mossa mediatica, annunciò “Abbiamo trovato il colpevole”.
Ma alla fin fine, questo pastone di sangue e merda a chi viene gettato? Viene gettato ad un pubblico borghese (nella più ampia e peggiore accezione Bunuelliana immaginabile) pronto a cibarsene, ingordo e mai sazio, a piene mani. Un pubblico formato d’individui chiusi nella loro vita spesso insoddisfacente, che si masturbano emozionalmente con casi di cronaca nera gonfiati mediaticamente all’inverosimile. “Cittadini per bene” dalla vita patetica che riescono a gridare “Sei una merda!” “Dovresti morire” “Fatelo a pezzi!” “Serve la pena di morte!” “Castrazione chimica!” “Buttatelo in un fosso!” verso chi viene indagato, e sottolineamo “indagato” ossia “sospettato”, per un crimine che non è certo sicuro questi abbia commesso.
Tanto tu, casalinga frustrata che non raggiunge un orgasmo da mesi perché tuo marito la notte sta al videopoker, donna la quale il top della felicità è ricevere in regalo la lavastoviglie per natale, rimarrai comunque una persona triste e vuota. E tu, impiegato frustrato, sottopagato e sottomesso, auto grande ma c**zo piccolo (e cervello ancora di più), rimarrai, tu pure, triste e vuoto. Non sarà la tragedia della morte di un bimbo e quel brivido d’eccitazione nelle vostre liberatorie invettive digitali verso l’omicida, che vi renderanno persone migliori. Leoni da tastiera e pecorelle nella Vita reale.
Il diritto (anzi direi “dovere”) di cronaca è sacrosanto ed inviolabile. La speculazione sulla morte, invece: no.
NB: chiedo scusa per i toni tesi in primis e per la quasi assenza di immagini ad arricchire il testo come seconda. La prima è stata una necessità, la seconda invece una scelta voluta.
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